La mia iniziazione (I)
Scritto da Giulia LiberaMente, il 2021-07-27, genere dominazione
Martedì mattina, ore 4.30.
La sveglia parte e viene zittita in un istante. Avevo dormito ben poco, non potevo dormire. Non quella notte.
La mia coinquilina era a casa dei suoi e così io avevo potuto lasciare il mio piccolo trolley già pronto nel soggiorno - se così si può chiamare, piccolo com'è - unico spazio comune del nostro appartamento.
Mi stropiccio gli occhi e vado in bagno, dove passo cinque minuti buoni a fissarmi. Sono uno straccio, mi si legge in viso la notte in bianco e l'ansia per la giornata che mi si prospettava; per quella e per le seguenti, a dire il vero.
Alla fine Stefano non era stato un problema. Quando gli ho spiegato del mio esame e dalla mia necissità di studiare ha subito capito ed è partito per le vacanze senza di me, con alcuni amici comuni. Si è sentito in colpa, ma sotto la mia pressante insistenza ha ceduto e ha acconsentito lasciandomi con la promessa di non divertirsi affatto.
Entro nella doccia e mi godo la sensazione: l'acqua era calda e piacevole sulla mia pelle, la schiuma soffice. La cute si scalda e io la solletico con le dita e con la spugna.
Il docciaschiuma è alla pesca e miele e il suo aroma mi pervade stuzzicandomo l'olfatto; inebriata, me lo faccio scorrere nei punti giusti, seno, ventre e cosce, sperando che quel dolce profumo possa resisitere fino al nostro incontro così che anche tu possa percepirlo.
Mi lavo anche i capelli, che una volta uscita dal box doccia asciugo e pettino facendoli ricci. Due gocce di profumo sui polsi e sul collo e sono pronta.
Sono le 6.15 e sono quasi pronta, devo solo scegliere come vestirmi. Riflettuto con calma opto per una gonna avorio con un motivo floreale e una camicetta verde chiaro in tinta con i gambi e le foglie di quei fiorellini colorati; ai piedo scelgo di indossare un paio di scarpe da ginnastica bianche con il logo del marchio rosa e argento, senza calze. Niente di esageratamente sexy, insomma. Non mi va di presentarmi a casa di Fabio in tacco a spillo e calza a rete, non alle 8 del mattino per il nostro primo incontro; sarebbe troppo audace, troppo esagerato, e io voglio dargli di me un'immagine semplice e innocente.
Sono sempre stata la classica ragazza acqua e sapone, mai eccessiva nei toni e nell'outfit e come tale intendo presentarmi da lui. Questo non significa che in questi giorni io abbia fatto un passo indietro, anzi.
Un'idea è ben scolpita nella mia mente.
Quell'uomo mi ha colpita, con i suoi modi diretti e autoritari. E molto anche, allora ho deciso che sia lui a guidare.
Perché un pensiero si è delineato in me, una certezza.
Io non ho tradito "perché è successo", non sono caduta nella sua rete inavvertitamente e a causa di un fato avverso e ineluttabile.
No.
Sono io che ho arbitrariamente e consapevolmente scelto di entrare nella tana del Bianconiglio; lui mi ha solo mostrato l'orologio dicendomi che era tardi, che dovevo scegliere in fretta, che la vita scorreva e se volevo vivere quel brivido non potevo perdere altro tempo.
Ma sono io che l'ho seguito e ora mi attende il Mondo delle Meraviglie, con i suoi misteri e le sue oscure perversioni.
Questa illuminazione mi ha dato una forza che non mi aspettavo di avere; ed è stato grazie a questa forza che ho trovato il coraggio di mentire a Stefano e ai miei genitori, che ho scelto di compiere ogni passo che ho compiuto.
Sì, il verbo scegliere torna spesso nel mio flusso di coscienza, come se il mio subconscio volesse rafforzare in me un sentimento di autodeterminazione che forse - quasi sicuramente - sarebbe poco chiaro ad un osservatore esterno. Non che potrei averne, s'intende; a nessuno potrei mai parlare della mia attuale condizione, nè familiari nè amici. E d'altro canto era poco chiara anche a me sino a poche ore fa.
Sottomissione, sì, certo. Ma voluta, desiderata. Bramata persino. Niente costrizioni, niente impostazioni da parte sua.
Esiste qualcosa di più bello di volersi sottomettere ad un altra persona volontariamente, così consapevolmente e pienamente. Non so, non credo.
Voglio che lui sia per me ciò che lord Henry è stato Dorian Gray; voglio farmi corrompere l'anima da Fabio.
Sorrido al mio riflesso nello specchio. Mi sento un po' più bella e un po' più felice.
6.45, ho ancora il tempo di truccarmi e mettermi lo smalto con calma. La scelta è semplice: trucco leggero su occhi e gote, un filo di rossetto e di mascara, smalto rosa delicato su mani e piedi.
Belli questo parallelo con Oscar Wilde, ne parlerò a Fabio se ci sarà l'occasione. Avere le idee chiare mi rende più serena e più leggera, posso anche concentrarmi sul turbinio di eccitanti emozioni che mi ha tenuto sveglia stanotte.
E il mio bramoso desiderio di umiliare Stefano? Quello no, ancora non è chiaro. Ma una risposta alla volta, una certezza alla volta; forse tutto sarà più chiaro al termine della mia iniziazione. Che è già iniziata, ne sono certa. È iniziata già quel giorno, all'esame.
Alle 7.15 sono pronta e decido, ormai troppo in fibrillazione per fare qualsiasi cosa che non sia passeggiare freneticamente avanti e indietro da camera mia all'ingresso con lo stomaco stretto, la gola secca e il cuore martellante nel petto e alle tempie.
Prendo la mia borsetta con chiavi, cellulare e lucidalabbra e il trolley, esco e salgo in macchina. La accendo immediatamente, ma mi ci vuole qualche minuto per trovare il coraggio di partire.
Cos'è, ho paura adesso? No, cazzo, no. Sono una cogliona, ci sono così tante cose su cui non ho riflettuto a dovere.
Come gestirò le chiamate di parenti e fidanzato? Cosa farò se Fabio sceglierà di impedirmi di sentirli? Che cazzo sto dicendo?! Ci penserò, niente ansia.
Autodeterminazione, questa è la parola chiave.
Voglio andare da Fabio e ora ci vado.
Alla fine i piedi si muovono da soli e il veicolo segue mio malgrado le loro indicazioni.
Venti minuti. Traffico e semafori, porca puttana. Sono in ritardo. Parcheggio dietro quella che dovrebbe essere casa sua, in un cortile ampio ma semideserto in cui trovano spazio solo una panca di legno, un portavasi di pietra vuoto e una cuccia per un cane di grossa taglia, evidentemente disabitata da un po' e oggetto della violenza paziente del tempo.
Intravedo Fabio da una finestra della casa - una casa tutto sommato modesta ma all'apparenza graevole, un villino su due piani color crema con qualche mattone a vista. Mi sta guardando da dietro una tenda e io gli sorrido. Non risponde e scompare all'interno, sicuramente per venirmi ad aprire.
Attendo quasi un'ora prima che lo faccia e inizio a sudare sotto il sole afoso di fine luglio; inizio anche a pensare che a causa del mio ritardo non mi aprirà affatto.
Mi sento una cretina e mi lascio cadere sul gradino ai piedi dell'ingresso. Vedo una Giulia sorridente, con gli occhiali da sole e chiazze di crema solare mal spalmata sulle cosce; è straiata su un lettino in una spiaggia sabbiosa della Puglia, accanto a lei c'è Stefano.
Mi scuoto da quel pensiero. Sorride, ma non è felice. Quella Giulia non esiste, non esiste più, uccisa da questa seduta qui, da quella che ha scelto di mentire al suo principe per venire a servire un maestro che la fa attendere disinteressato sotto il sole.
L'ho ferita io quando ho scopato con Fabio, l'ho uccisa quando ho baciato Stefano con sulle labbra la sborra dell'altro e ho nascosto il corpo mentendo per venire qui oggi.
Sorrido, assurdamente felice a quel pensiero. Devo essere affetta da una qualche forma di sadismo, chissà.
Attendo, impaziente ed eccitata.
"Eccoti"
Un giro di chiave nella toppa e quelle parole mi annunciano che finalmente potrò entrare.
Ma sbaglio.
"Avevamo un accordo, ricordi? Ore 8.00 a casa mia, tu sei arrivata in ritardo."
Lo fisso dal basso. Sembra ancora più alto e massiccio, visto da lì. Faccio per alzarmi e parlare per spiegargli le ragioni del mio ritardo.
"Taci e resta seduta dove sei."
Mi ordina indicandomi il gradino.
"Sono molto tentato di rimandarti a casa, mi hai molto deluso".
Nei miei occhi si dipinge il terrore. Non posso perdere tutto in un solo giorno, non a causa di un paio di semafori rossi.
"Sarò chiaro con te. Questo per me non è una cazzata, non è una di quelle minchiate da film porno o da fantasia da chat erotiche."
Il suo tono di voce è cambiato, me ne rendo subito conto; è tornato quello da assistente, quello che usa al lavoro. È uscito dai panni del Maestro, ora è solo Fabio.
Quale sia quello vero e quale la mascherà però, non so dirlo. "Prendo molto seriamente tutta questa vicenda, questa situazione che pensavo potessimo creare."
Noto della timidezza nella sua voce? Si sta scoprendo un poco con me, la sua aspirante accolita?
"Scegli ora: resta o torna indietro. Ma basta stronzate, intesi?"
Lo guardo, muta e interdetta. Chi è quest'uomo che mi ero immaginata di conoscere tanto bene? Voglio scoprirlo, anche perché questa sfaccettatura inaspettata mi incuriosisce parecchio e, sarò sincera con me stessa, mi attrae particolarmente.
"Intesi. Sono qui per restare, Maestro."
Seduta sotto il sole la mia fantasia era volata, facendomi immaginare punizioni di ogni tipo per il mio sgarro: frustate, percosse sulle natiche, corde, bende, cinghie o chissà cos'altro. Niente di tutto questo, solo la minaccia di non iniziare nemmeno ciò che ogni fibra del mio corpo bramava tanto. Aveva toccato il tasto giusto. Nei modi che avevo pensato io mi avrebbe soltanto eccitata, agendo così invece mi aveva terrorizzata e insegnato una lezione importante. Questa è la vera e più profonda forma di dominazione.
Mi aveva concesso, nella sua misericordia, un'altra possibilità. Forse l'ultima. Per il mio stesso bene non potevo sciuparla.
"Vieni dentro"
Mi tendee la mano e mi fa alzare, invitandomi ad entrare con un tocco deciso sulla schiena; quel gesto semplice ma compiuto con autorità mi dà un brivido lungo la spina dorsale.
È questo il Paese delle Meraviglie?
Ai miei occhi si apre un corridoio alquanto buio, dalle pareti bianche e con pochi quadri astratti appesi; mi fa posare il trolley a terra e la borsetta su una consolle di plastica scadente, che stride con l'arredamento di un soggiorno dal gusto eccessivamente ordinato e ricercato per un uomo che vive solo, ma non faccio domande.
Normalità. Tutto potevo aspettarmi, tranne questo.
Prima di venire qui avevo cercato diversi video porno alle voci "dominazione" e "bdsm", ma nessuno di essi rappresentava una realtà nemmeno lontanamente simile a questa. Eccessivi e stereotipati, se allora mi avevano eccitata regalandomi persino alcuni orgasmi, mi appaiono ora finti e quasi comicamente esagerati nei toni.
Per la prima volta da quando tutto era iniziato avverto un senso di inquietudine e di paura.
Cosa mi aspettava qui, in un luogo tanto normale e apparentemente insignificante, per tre giorni? Nessun segno, in questo soggiorno ordinato, della perversione che mi ero figurata in quest'uomo.
C'è, questa perversione, ed è maggiore delle mie aspettative, essendo così estremamente esagerata da doverla così ben nascondere agli occhi di un ignaro visitatore? Oppure era stata solo un'ombra, il riflesso di un mio desiderio venuto alla luce indipendentemente dai gusti di questo anonimo assistente?
Mi aveva lasciata seduta sul divano, sola con i miei pensieri, i miei dubbi e le mie angosce, ma rieccolo qui ora. È tornato a torso nudo e calzoncini, senza nè scarpe nè ciabatte ai piedi.
Ha una cinghia in mano.
Tiene nella destra una normalissima cinghia in cuoio, di quelle che sorreggono i pantaloni.
È una cinghia qualsiasi, senza altro scopo che sorreggere i pantaloni dell'uomo in piedi di fronte a me, ma quell'oggetto qualsiasi si carica per me di significati nascosti, di eccitazione, di speranze e, posso ammetterlo, anche di sollievo. Sì, perché la conoscevo, sapevo a cosa serviva e come reagire ad essa. Almeno nella teoria dei video porno.
L'attesa silenziosa e la quiete di quella casa normale no, non le conoscevo. E per questo mi facevano paura.
"Mi aspetto che tu sappia cosa mi aspetto da te. Non deludermi ancora."
Dice solo quelle poche parole prima di lasciare la sua arma sul tavolinetto accanto al sofà e uscire nuovamente.
Sento freddo, ho i brividi.
Chiudo gli occhi per un attimo, cercando di ragionare in preda all'angoscia.
Cazzo! No che non so cosa fare... si aspetta di trovarmi nuda? Si aspetta che mi leghi i polsi? O forse le caviglie? O che inizi a colpirmi da sola?
Ho un nodo alla gola e avverto la pelle d'oca; vorrei bere, ma qui non vedo un frigorifero e comunque non me la sentirei di servirmi senza permesso.
Sono in gabbia.
Avverto dei passi in una delle stanze accanto, forse sta arrivando.
Porca puttana, se tornando mi trova ancora così è finita. Tutto perduto. L'avrò deluso ancora e dovrò andarmene, avendo lasciato scappare per sempre l'opportunità con tanta forza avevo scoperto di desiderare.
Resto in ascolto. Non varca la soglia, non ancora. Ho ancora qualche attimo per riflettere.
Potrei comportarmi come le attrici dei filmati che ho visto, potrei legarmi quella cinghia al collo come un collare.
Oppure potrei iniziare a colpirmi il culo, facendoglielo già trovare già rosso e pronto, docindogli poi che era ancora vergine.
Sento qualcosa muoversi, come se stesse trascinando un oggetto pesante, poi un leggero tonfo.
Merda, cosa sarà?
Questo senso di ignoto mi sta torturando, fatico a respirare e mi brucia la gola. Ho sempre più sete.
Inizio prendendo in mano la cintura, la soppeso tra le dita.
Se me la dessi sulla schiena ora, così come sono, vestita, potrei attutire i colpi e prendere confidenza con quella pratica senza provare il dolore, di certo più atroce, del contatto contro la pelle nuda.
Ma se poi così facendo non mi lasciassi segni e lui ne fosse deluso? Sarebbe stato tutto inutile.
La poso e ascolto ancora.
Sembra essere tornato il silenzio, fatto salvo un suono leggero, come un soffio più sibilante e roco. Avrà acceso l'aria condizionata in un'altra stanza della casa.
Mi sfilo le scarpe e resto a piedi nudi. Ho deciso, mi legherò le caviglie il più stretto possibile, così da arrossarmele ma senza provare un dolore eccessivo.
Perfetto, questo dovrebbe accontentare entrambi.
La riprendo e me la faccio scorrere sui polpacci; e morbida e vellutata, di vera pelle, senza dubbio.
Il suo contato contro le caviglie mi dà un brivido di eccitazione: lo sto facendo davvero. Procedo lentamente superando ogni buco fino all'ultimo, poi la chiudo.
Resto delusa. È troppo larga e non riesco a stringere per nulla.
Slaccio e riprovo, questa volta facendo un nodo.
È stretta e il mio stesso gesto mi fa gemere; in pochi istanti vedo i piedi cambiare colore per via della limitata circolazione di sangue.
Quando mi sembra di aver agito al meglio sento il cuore sprofondare e mi avvento a sciogliere il nodo.
Cazzo, se gliel'avessi rovinata? È vera pelle e io come una stronza gliel'ho appena rigata completamente.
Mi osservo i segni sulle caviglie, sono paonazze e mi fanno male, ma non ci presto attenzione; fisso piuttosto le righe che il mio nodo ha impresso sulla cintura e mi sento morire.
Merda merda merda.
Ho fatto una cazzata.
Mi alzo in piedi di scatto, ma la carenza di afflusso sanguigno mi ha tolto sensibilità e cado per terra. Sbatto con forza un gomito contro il tavolino e la camicetta di impiglia ad un angolo, strappandosi su un fianco.
Improvvisamente, come una bambina, inizio a piangere e a singhiozzare piano, cercando di non farmi sentire.
Mi fa male il braccio ma con un gesto di stizza mi allargo con forza lo strappo nel tessuto e mi sfilo l'indumento stracciato dalla testa, gettandolo a terra con delusa rassegnazione e rabbia cieca.
È finita, quando tornerà mi troverà qui a terra a pezzi e piangente, senza camicia, distesa sotto il corpo del reato.
Mi caccerà e non lo vedrò mai più.
Lui, il mio maestro. Lui e la mia certezza di voler essere sottomessa ad un uomo, un vero uomo, se ne andranno così come fumo. Spazzate via dal vento della mia incapacità.
Eccolo. Di nuovo il rumore sordo di qualcosa che viene trascinato, forse una sedia, poi dei passi.
Apro appena gli occhi. Vedo poco a causa delle lacrime, però posso comunque facilmente scorgere i contorni della sua forma. In piedi davanti a me è nudo, con il membro eretto nella mano destra.
Solo allora capisco tutto. I passi, i rumori, gli ansiti: Fabio si stava segando spiandomi.
Tutto si fa chiaro. Ecco il suo modo di sottomettermi e umiliarmi. E chissà cos'altro si potrà inventare.
Il suo cazzo è gonfio e venoso, la cappella rossa e umida, segno che si stava masturbando da un po'.
"Succhiami il cazzo."
Un ordine netto e insindacabile a cui cerco di obbedire sollevandomi malgrado il dolore al gomito, trovando le forze nella speranza che non mi allontani in malo modo da casa sua.
Riesco a mettermi in ginocchio e inizio a leccargli il prepuzio, alternando ogni tanto qualche bacio sul glande.
"Ho detto succhia, troia, sei demente?"
Uno schiaffo con il cazzo si aggiunge al colpo datomi con le parole.
Sento una scossa. L'insulto mi eccita e provo l'impulso di iniziare a mastubarmi, ma ora come ora il mio primo desiderio è quello di soddisfare lui.
Socchiudo le labbra e tiro un po' fuori la lingua, lasciando scorrere fra le mie labbra la sua verga. Sollevo gli occhi e cerco quelli di Fabio, ma i suoi sono serrati. Si sta leccando le labbra e io ne sono felice, certa che gli stia piacendo.
Muovo la testa lentamente, facendo entrare una porzione sempre maggiore di cazzo, che ora è dentro a metà. Io, invece, sento ormai le mutandine bagnate e insieme ad esso l'impulso di toccarmi affondandoci dentro le dita.
"Non così! È troppo grande per te, troia?"
Partendo dalla fronte fa passare le dita fra i miei capelli e li arpiona come se la sua mano fosse una morsa; una stretta secca ha l'effetto a tirarmi verso di sè ficcandomi in gola l'intero palo di carne. Un dolore intenso al cuoio capelluto e un bruciore acre nella zona dell'epiglottide esplodono insieme; così come insieme mi vengono le lacrime agli occhi e i conati di vomito.
Non se ne cura minimamente e continua a usarmi come se fossi uno di quei sex toys di silicone a forma di vagina, facendomi arrossire sbavare dai lati delle labbra costringendomi a regolare il respiro inspirando ed espirando dal naso; anche se il problema non è tanto l'ipossia quanto piuttosto il gonfiore che mi sta seviziando la gola.
Proprio quando sento di non poter resistere oltre si ferma, forse per una forma di premura che non mi aspettavo e non credevo di meritare. Però non esce e resta così, immobile.
Lo sento pulsare dentro di me, dev'essere prossimo all'orgasmo. Pulso anch'io, ma per i conati sempre più frequenti.
"Ti giuro che se mi vomiti addosso te ne faccio pentire, intesi?"
Lo fisso dal basso con un pizzico di paura e una tempesta di eccitazione. Annuisco e, soddiafatto, esce da me.
"Fammi venire con una sega."
Tossisco, ma per non rigettare mi sforzo di concentrarmi sull'ossigeno che torna abbondante nei polmoni. Avendo già sete da prima non so cosa darei per un goccio d'acqua.
"Sì... Maestro"
Voglio dargli quest'altra soddisfazione, cioè sentirmi parlare a fatica, sfiancata dalla foga della sua scopata. Ma evidentemente a lui non basta. Quando gli sfioro il membro con la sinistra mi dà uno schiaffo sulla mano, visibilmente infastidito.
"Non con questa, usa l'altra mano"
Le pupille si dilatano. Il braccio destro mi fa davvero male per il colpo di prima, per questo sino a quel momento lo avevo tenuto disteso lungo il fianco.
"Maestro ho sbattuto, mi fa malissimo, fatico a muoverlo..."
Fabio ridacchia.
"Lo so. E tu sai quanto me ne frega? Un cazzo. Muoviti e obbedisci."
"Sì maestro, mi scusi, non avrei nemmeno dovuto parlare. Le cagne non parlano."
Sono troppo eccitata, i miei ormoni hanno rotto gli argini e mi controllano, parlando al mio posto; i miei occhi sono fuoco, le mie labbra sangue, il mio corpo terremoto.
"Ma questa cagna la farà sborrare e godere, Maestro."
Cerco di ignorare il dolore e sollevo il braccio, portando la mano attorno al cazzo caldo e fremente. Lo accarezzo con lentezza, ma dal suo sguardo capisco che mi chiede di accelerare. Ti sego con avidità, come se stessi godendo più di te.
Non nascondo il mio dolore, poiché noto che gli sta dando un piacere almeno pari a quello della sega; e, con mia sorpresa, mi accorgo che il mio dolore unito alla sua espressione di godimento nel percepirlo, stanno facendo impazzire di piacere anche me.
"La prego di sborrarmi sul viso Maestro, posso chiedere questo premio?"
Accelero e taccio, usando adesso la lingua per leccarti i testicoli frementi.
"Tu non puoi chiedere niente, sei la mia puttana. E che puttana vogliosa sei... ti piacciono le mie palle, vero? O preferisci il mio cazzo? Scommetto che lo vorresti dentro. Lo avrai, ma non adesso."
Sorrido estasiata, sia perché mi considera sua - e quindi non ho perso la mia occasione - sia perché so che prima o poi, in questi tre giorni, mi attende il suo cazzo.
"Mi piace tutto di lei Maestro, corpo e anima. Essere sua è un privilegio."
"Brava troietta, ora sì che ti meriti la mia sborra..."
Preannuncia, un attimo prima di ansimare con suoni gutturali e bassi da animale. Schizza abbondantemente gocce bianche e dense che mi cospargono il viso, bagnandomelo dal mento alla fronte. Alcune gocce mi vanno anche negli occhi e sui capelli, è un fiume ma per sfortuna pochissima mi finisce in bocca.
"Grazie Maestro."
Sussurro prima di prendermi il piacere non concesso di succhiargli il glande per spremere le ultime stille di seme.
"Sei stata molto brava, ora tocca a te"
Mi solleva dando prova della sua forza muscolare e mi fa stendere sul divano per poi chinarsi fra le mie cosce.
Basta un attimo, poche leccate esperte e precise, tocchi rapidi e netti sul clitoride o lappate profonde fra le grandi labbra, ed esplodo a mia volta in un orgasmo che mi pervade totalmente facendomi urlare con forza frasi sconnesse e senza senso.
Fabio non si ferma e si disseta di ogni goccia dei miei umori, fino a che non mi abbandono sfinita. Il suo seme continua a colarmi dal viso al collo al seno, ma lui mi ordina di non pulirmi.
"Aspetta qui, vado a lavarmi. Quando torno continuiamo".
-CONTINUA-
La sveglia parte e viene zittita in un istante. Avevo dormito ben poco, non potevo dormire. Non quella notte.
La mia coinquilina era a casa dei suoi e così io avevo potuto lasciare il mio piccolo trolley già pronto nel soggiorno - se così si può chiamare, piccolo com'è - unico spazio comune del nostro appartamento.
Mi stropiccio gli occhi e vado in bagno, dove passo cinque minuti buoni a fissarmi. Sono uno straccio, mi si legge in viso la notte in bianco e l'ansia per la giornata che mi si prospettava; per quella e per le seguenti, a dire il vero.
Alla fine Stefano non era stato un problema. Quando gli ho spiegato del mio esame e dalla mia necissità di studiare ha subito capito ed è partito per le vacanze senza di me, con alcuni amici comuni. Si è sentito in colpa, ma sotto la mia pressante insistenza ha ceduto e ha acconsentito lasciandomi con la promessa di non divertirsi affatto.
Entro nella doccia e mi godo la sensazione: l'acqua era calda e piacevole sulla mia pelle, la schiuma soffice. La cute si scalda e io la solletico con le dita e con la spugna.
Il docciaschiuma è alla pesca e miele e il suo aroma mi pervade stuzzicandomo l'olfatto; inebriata, me lo faccio scorrere nei punti giusti, seno, ventre e cosce, sperando che quel dolce profumo possa resisitere fino al nostro incontro così che anche tu possa percepirlo.
Mi lavo anche i capelli, che una volta uscita dal box doccia asciugo e pettino facendoli ricci. Due gocce di profumo sui polsi e sul collo e sono pronta.
Sono le 6.15 e sono quasi pronta, devo solo scegliere come vestirmi. Riflettuto con calma opto per una gonna avorio con un motivo floreale e una camicetta verde chiaro in tinta con i gambi e le foglie di quei fiorellini colorati; ai piedo scelgo di indossare un paio di scarpe da ginnastica bianche con il logo del marchio rosa e argento, senza calze. Niente di esageratamente sexy, insomma. Non mi va di presentarmi a casa di Fabio in tacco a spillo e calza a rete, non alle 8 del mattino per il nostro primo incontro; sarebbe troppo audace, troppo esagerato, e io voglio dargli di me un'immagine semplice e innocente.
Sono sempre stata la classica ragazza acqua e sapone, mai eccessiva nei toni e nell'outfit e come tale intendo presentarmi da lui. Questo non significa che in questi giorni io abbia fatto un passo indietro, anzi.
Un'idea è ben scolpita nella mia mente.
Quell'uomo mi ha colpita, con i suoi modi diretti e autoritari. E molto anche, allora ho deciso che sia lui a guidare.
Perché un pensiero si è delineato in me, una certezza.
Io non ho tradito "perché è successo", non sono caduta nella sua rete inavvertitamente e a causa di un fato avverso e ineluttabile.
No.
Sono io che ho arbitrariamente e consapevolmente scelto di entrare nella tana del Bianconiglio; lui mi ha solo mostrato l'orologio dicendomi che era tardi, che dovevo scegliere in fretta, che la vita scorreva e se volevo vivere quel brivido non potevo perdere altro tempo.
Ma sono io che l'ho seguito e ora mi attende il Mondo delle Meraviglie, con i suoi misteri e le sue oscure perversioni.
Questa illuminazione mi ha dato una forza che non mi aspettavo di avere; ed è stato grazie a questa forza che ho trovato il coraggio di mentire a Stefano e ai miei genitori, che ho scelto di compiere ogni passo che ho compiuto.
Sì, il verbo scegliere torna spesso nel mio flusso di coscienza, come se il mio subconscio volesse rafforzare in me un sentimento di autodeterminazione che forse - quasi sicuramente - sarebbe poco chiaro ad un osservatore esterno. Non che potrei averne, s'intende; a nessuno potrei mai parlare della mia attuale condizione, nè familiari nè amici. E d'altro canto era poco chiara anche a me sino a poche ore fa.
Sottomissione, sì, certo. Ma voluta, desiderata. Bramata persino. Niente costrizioni, niente impostazioni da parte sua.
Esiste qualcosa di più bello di volersi sottomettere ad un altra persona volontariamente, così consapevolmente e pienamente. Non so, non credo.
Voglio che lui sia per me ciò che lord Henry è stato Dorian Gray; voglio farmi corrompere l'anima da Fabio.
Sorrido al mio riflesso nello specchio. Mi sento un po' più bella e un po' più felice.
6.45, ho ancora il tempo di truccarmi e mettermi lo smalto con calma. La scelta è semplice: trucco leggero su occhi e gote, un filo di rossetto e di mascara, smalto rosa delicato su mani e piedi.
Belli questo parallelo con Oscar Wilde, ne parlerò a Fabio se ci sarà l'occasione. Avere le idee chiare mi rende più serena e più leggera, posso anche concentrarmi sul turbinio di eccitanti emozioni che mi ha tenuto sveglia stanotte.
E il mio bramoso desiderio di umiliare Stefano? Quello no, ancora non è chiaro. Ma una risposta alla volta, una certezza alla volta; forse tutto sarà più chiaro al termine della mia iniziazione. Che è già iniziata, ne sono certa. È iniziata già quel giorno, all'esame.
Alle 7.15 sono pronta e decido, ormai troppo in fibrillazione per fare qualsiasi cosa che non sia passeggiare freneticamente avanti e indietro da camera mia all'ingresso con lo stomaco stretto, la gola secca e il cuore martellante nel petto e alle tempie.
Prendo la mia borsetta con chiavi, cellulare e lucidalabbra e il trolley, esco e salgo in macchina. La accendo immediatamente, ma mi ci vuole qualche minuto per trovare il coraggio di partire.
Cos'è, ho paura adesso? No, cazzo, no. Sono una cogliona, ci sono così tante cose su cui non ho riflettuto a dovere.
Come gestirò le chiamate di parenti e fidanzato? Cosa farò se Fabio sceglierà di impedirmi di sentirli? Che cazzo sto dicendo?! Ci penserò, niente ansia.
Autodeterminazione, questa è la parola chiave.
Voglio andare da Fabio e ora ci vado.
Alla fine i piedi si muovono da soli e il veicolo segue mio malgrado le loro indicazioni.
Venti minuti. Traffico e semafori, porca puttana. Sono in ritardo. Parcheggio dietro quella che dovrebbe essere casa sua, in un cortile ampio ma semideserto in cui trovano spazio solo una panca di legno, un portavasi di pietra vuoto e una cuccia per un cane di grossa taglia, evidentemente disabitata da un po' e oggetto della violenza paziente del tempo.
Intravedo Fabio da una finestra della casa - una casa tutto sommato modesta ma all'apparenza graevole, un villino su due piani color crema con qualche mattone a vista. Mi sta guardando da dietro una tenda e io gli sorrido. Non risponde e scompare all'interno, sicuramente per venirmi ad aprire.
Attendo quasi un'ora prima che lo faccia e inizio a sudare sotto il sole afoso di fine luglio; inizio anche a pensare che a causa del mio ritardo non mi aprirà affatto.
Mi sento una cretina e mi lascio cadere sul gradino ai piedi dell'ingresso. Vedo una Giulia sorridente, con gli occhiali da sole e chiazze di crema solare mal spalmata sulle cosce; è straiata su un lettino in una spiaggia sabbiosa della Puglia, accanto a lei c'è Stefano.
Mi scuoto da quel pensiero. Sorride, ma non è felice. Quella Giulia non esiste, non esiste più, uccisa da questa seduta qui, da quella che ha scelto di mentire al suo principe per venire a servire un maestro che la fa attendere disinteressato sotto il sole.
L'ho ferita io quando ho scopato con Fabio, l'ho uccisa quando ho baciato Stefano con sulle labbra la sborra dell'altro e ho nascosto il corpo mentendo per venire qui oggi.
Sorrido, assurdamente felice a quel pensiero. Devo essere affetta da una qualche forma di sadismo, chissà.
Attendo, impaziente ed eccitata.
"Eccoti"
Un giro di chiave nella toppa e quelle parole mi annunciano che finalmente potrò entrare.
Ma sbaglio.
"Avevamo un accordo, ricordi? Ore 8.00 a casa mia, tu sei arrivata in ritardo."
Lo fisso dal basso. Sembra ancora più alto e massiccio, visto da lì. Faccio per alzarmi e parlare per spiegargli le ragioni del mio ritardo.
"Taci e resta seduta dove sei."
Mi ordina indicandomi il gradino.
"Sono molto tentato di rimandarti a casa, mi hai molto deluso".
Nei miei occhi si dipinge il terrore. Non posso perdere tutto in un solo giorno, non a causa di un paio di semafori rossi.
"Sarò chiaro con te. Questo per me non è una cazzata, non è una di quelle minchiate da film porno o da fantasia da chat erotiche."
Il suo tono di voce è cambiato, me ne rendo subito conto; è tornato quello da assistente, quello che usa al lavoro. È uscito dai panni del Maestro, ora è solo Fabio.
Quale sia quello vero e quale la mascherà però, non so dirlo. "Prendo molto seriamente tutta questa vicenda, questa situazione che pensavo potessimo creare."
Noto della timidezza nella sua voce? Si sta scoprendo un poco con me, la sua aspirante accolita?
"Scegli ora: resta o torna indietro. Ma basta stronzate, intesi?"
Lo guardo, muta e interdetta. Chi è quest'uomo che mi ero immaginata di conoscere tanto bene? Voglio scoprirlo, anche perché questa sfaccettatura inaspettata mi incuriosisce parecchio e, sarò sincera con me stessa, mi attrae particolarmente.
"Intesi. Sono qui per restare, Maestro."
Seduta sotto il sole la mia fantasia era volata, facendomi immaginare punizioni di ogni tipo per il mio sgarro: frustate, percosse sulle natiche, corde, bende, cinghie o chissà cos'altro. Niente di tutto questo, solo la minaccia di non iniziare nemmeno ciò che ogni fibra del mio corpo bramava tanto. Aveva toccato il tasto giusto. Nei modi che avevo pensato io mi avrebbe soltanto eccitata, agendo così invece mi aveva terrorizzata e insegnato una lezione importante. Questa è la vera e più profonda forma di dominazione.
Mi aveva concesso, nella sua misericordia, un'altra possibilità. Forse l'ultima. Per il mio stesso bene non potevo sciuparla.
"Vieni dentro"
Mi tendee la mano e mi fa alzare, invitandomi ad entrare con un tocco deciso sulla schiena; quel gesto semplice ma compiuto con autorità mi dà un brivido lungo la spina dorsale.
È questo il Paese delle Meraviglie?
Ai miei occhi si apre un corridoio alquanto buio, dalle pareti bianche e con pochi quadri astratti appesi; mi fa posare il trolley a terra e la borsetta su una consolle di plastica scadente, che stride con l'arredamento di un soggiorno dal gusto eccessivamente ordinato e ricercato per un uomo che vive solo, ma non faccio domande.
Normalità. Tutto potevo aspettarmi, tranne questo.
Prima di venire qui avevo cercato diversi video porno alle voci "dominazione" e "bdsm", ma nessuno di essi rappresentava una realtà nemmeno lontanamente simile a questa. Eccessivi e stereotipati, se allora mi avevano eccitata regalandomi persino alcuni orgasmi, mi appaiono ora finti e quasi comicamente esagerati nei toni.
Per la prima volta da quando tutto era iniziato avverto un senso di inquietudine e di paura.
Cosa mi aspettava qui, in un luogo tanto normale e apparentemente insignificante, per tre giorni? Nessun segno, in questo soggiorno ordinato, della perversione che mi ero figurata in quest'uomo.
C'è, questa perversione, ed è maggiore delle mie aspettative, essendo così estremamente esagerata da doverla così ben nascondere agli occhi di un ignaro visitatore? Oppure era stata solo un'ombra, il riflesso di un mio desiderio venuto alla luce indipendentemente dai gusti di questo anonimo assistente?
Mi aveva lasciata seduta sul divano, sola con i miei pensieri, i miei dubbi e le mie angosce, ma rieccolo qui ora. È tornato a torso nudo e calzoncini, senza nè scarpe nè ciabatte ai piedi.
Ha una cinghia in mano.
Tiene nella destra una normalissima cinghia in cuoio, di quelle che sorreggono i pantaloni.
È una cinghia qualsiasi, senza altro scopo che sorreggere i pantaloni dell'uomo in piedi di fronte a me, ma quell'oggetto qualsiasi si carica per me di significati nascosti, di eccitazione, di speranze e, posso ammetterlo, anche di sollievo. Sì, perché la conoscevo, sapevo a cosa serviva e come reagire ad essa. Almeno nella teoria dei video porno.
L'attesa silenziosa e la quiete di quella casa normale no, non le conoscevo. E per questo mi facevano paura.
"Mi aspetto che tu sappia cosa mi aspetto da te. Non deludermi ancora."
Dice solo quelle poche parole prima di lasciare la sua arma sul tavolinetto accanto al sofà e uscire nuovamente.
Sento freddo, ho i brividi.
Chiudo gli occhi per un attimo, cercando di ragionare in preda all'angoscia.
Cazzo! No che non so cosa fare... si aspetta di trovarmi nuda? Si aspetta che mi leghi i polsi? O forse le caviglie? O che inizi a colpirmi da sola?
Ho un nodo alla gola e avverto la pelle d'oca; vorrei bere, ma qui non vedo un frigorifero e comunque non me la sentirei di servirmi senza permesso.
Sono in gabbia.
Avverto dei passi in una delle stanze accanto, forse sta arrivando.
Porca puttana, se tornando mi trova ancora così è finita. Tutto perduto. L'avrò deluso ancora e dovrò andarmene, avendo lasciato scappare per sempre l'opportunità con tanta forza avevo scoperto di desiderare.
Resto in ascolto. Non varca la soglia, non ancora. Ho ancora qualche attimo per riflettere.
Potrei comportarmi come le attrici dei filmati che ho visto, potrei legarmi quella cinghia al collo come un collare.
Oppure potrei iniziare a colpirmi il culo, facendoglielo già trovare già rosso e pronto, docindogli poi che era ancora vergine.
Sento qualcosa muoversi, come se stesse trascinando un oggetto pesante, poi un leggero tonfo.
Merda, cosa sarà?
Questo senso di ignoto mi sta torturando, fatico a respirare e mi brucia la gola. Ho sempre più sete.
Inizio prendendo in mano la cintura, la soppeso tra le dita.
Se me la dessi sulla schiena ora, così come sono, vestita, potrei attutire i colpi e prendere confidenza con quella pratica senza provare il dolore, di certo più atroce, del contatto contro la pelle nuda.
Ma se poi così facendo non mi lasciassi segni e lui ne fosse deluso? Sarebbe stato tutto inutile.
La poso e ascolto ancora.
Sembra essere tornato il silenzio, fatto salvo un suono leggero, come un soffio più sibilante e roco. Avrà acceso l'aria condizionata in un'altra stanza della casa.
Mi sfilo le scarpe e resto a piedi nudi. Ho deciso, mi legherò le caviglie il più stretto possibile, così da arrossarmele ma senza provare un dolore eccessivo.
Perfetto, questo dovrebbe accontentare entrambi.
La riprendo e me la faccio scorrere sui polpacci; e morbida e vellutata, di vera pelle, senza dubbio.
Il suo contato contro le caviglie mi dà un brivido di eccitazione: lo sto facendo davvero. Procedo lentamente superando ogni buco fino all'ultimo, poi la chiudo.
Resto delusa. È troppo larga e non riesco a stringere per nulla.
Slaccio e riprovo, questa volta facendo un nodo.
È stretta e il mio stesso gesto mi fa gemere; in pochi istanti vedo i piedi cambiare colore per via della limitata circolazione di sangue.
Quando mi sembra di aver agito al meglio sento il cuore sprofondare e mi avvento a sciogliere il nodo.
Cazzo, se gliel'avessi rovinata? È vera pelle e io come una stronza gliel'ho appena rigata completamente.
Mi osservo i segni sulle caviglie, sono paonazze e mi fanno male, ma non ci presto attenzione; fisso piuttosto le righe che il mio nodo ha impresso sulla cintura e mi sento morire.
Merda merda merda.
Ho fatto una cazzata.
Mi alzo in piedi di scatto, ma la carenza di afflusso sanguigno mi ha tolto sensibilità e cado per terra. Sbatto con forza un gomito contro il tavolino e la camicetta di impiglia ad un angolo, strappandosi su un fianco.
Improvvisamente, come una bambina, inizio a piangere e a singhiozzare piano, cercando di non farmi sentire.
Mi fa male il braccio ma con un gesto di stizza mi allargo con forza lo strappo nel tessuto e mi sfilo l'indumento stracciato dalla testa, gettandolo a terra con delusa rassegnazione e rabbia cieca.
È finita, quando tornerà mi troverà qui a terra a pezzi e piangente, senza camicia, distesa sotto il corpo del reato.
Mi caccerà e non lo vedrò mai più.
Lui, il mio maestro. Lui e la mia certezza di voler essere sottomessa ad un uomo, un vero uomo, se ne andranno così come fumo. Spazzate via dal vento della mia incapacità.
Eccolo. Di nuovo il rumore sordo di qualcosa che viene trascinato, forse una sedia, poi dei passi.
Apro appena gli occhi. Vedo poco a causa delle lacrime, però posso comunque facilmente scorgere i contorni della sua forma. In piedi davanti a me è nudo, con il membro eretto nella mano destra.
Solo allora capisco tutto. I passi, i rumori, gli ansiti: Fabio si stava segando spiandomi.
Tutto si fa chiaro. Ecco il suo modo di sottomettermi e umiliarmi. E chissà cos'altro si potrà inventare.
Il suo cazzo è gonfio e venoso, la cappella rossa e umida, segno che si stava masturbando da un po'.
"Succhiami il cazzo."
Un ordine netto e insindacabile a cui cerco di obbedire sollevandomi malgrado il dolore al gomito, trovando le forze nella speranza che non mi allontani in malo modo da casa sua.
Riesco a mettermi in ginocchio e inizio a leccargli il prepuzio, alternando ogni tanto qualche bacio sul glande.
"Ho detto succhia, troia, sei demente?"
Uno schiaffo con il cazzo si aggiunge al colpo datomi con le parole.
Sento una scossa. L'insulto mi eccita e provo l'impulso di iniziare a mastubarmi, ma ora come ora il mio primo desiderio è quello di soddisfare lui.
Socchiudo le labbra e tiro un po' fuori la lingua, lasciando scorrere fra le mie labbra la sua verga. Sollevo gli occhi e cerco quelli di Fabio, ma i suoi sono serrati. Si sta leccando le labbra e io ne sono felice, certa che gli stia piacendo.
Muovo la testa lentamente, facendo entrare una porzione sempre maggiore di cazzo, che ora è dentro a metà. Io, invece, sento ormai le mutandine bagnate e insieme ad esso l'impulso di toccarmi affondandoci dentro le dita.
"Non così! È troppo grande per te, troia?"
Partendo dalla fronte fa passare le dita fra i miei capelli e li arpiona come se la sua mano fosse una morsa; una stretta secca ha l'effetto a tirarmi verso di sè ficcandomi in gola l'intero palo di carne. Un dolore intenso al cuoio capelluto e un bruciore acre nella zona dell'epiglottide esplodono insieme; così come insieme mi vengono le lacrime agli occhi e i conati di vomito.
Non se ne cura minimamente e continua a usarmi come se fossi uno di quei sex toys di silicone a forma di vagina, facendomi arrossire sbavare dai lati delle labbra costringendomi a regolare il respiro inspirando ed espirando dal naso; anche se il problema non è tanto l'ipossia quanto piuttosto il gonfiore che mi sta seviziando la gola.
Proprio quando sento di non poter resistere oltre si ferma, forse per una forma di premura che non mi aspettavo e non credevo di meritare. Però non esce e resta così, immobile.
Lo sento pulsare dentro di me, dev'essere prossimo all'orgasmo. Pulso anch'io, ma per i conati sempre più frequenti.
"Ti giuro che se mi vomiti addosso te ne faccio pentire, intesi?"
Lo fisso dal basso con un pizzico di paura e una tempesta di eccitazione. Annuisco e, soddiafatto, esce da me.
"Fammi venire con una sega."
Tossisco, ma per non rigettare mi sforzo di concentrarmi sull'ossigeno che torna abbondante nei polmoni. Avendo già sete da prima non so cosa darei per un goccio d'acqua.
"Sì... Maestro"
Voglio dargli quest'altra soddisfazione, cioè sentirmi parlare a fatica, sfiancata dalla foga della sua scopata. Ma evidentemente a lui non basta. Quando gli sfioro il membro con la sinistra mi dà uno schiaffo sulla mano, visibilmente infastidito.
"Non con questa, usa l'altra mano"
Le pupille si dilatano. Il braccio destro mi fa davvero male per il colpo di prima, per questo sino a quel momento lo avevo tenuto disteso lungo il fianco.
"Maestro ho sbattuto, mi fa malissimo, fatico a muoverlo..."
Fabio ridacchia.
"Lo so. E tu sai quanto me ne frega? Un cazzo. Muoviti e obbedisci."
"Sì maestro, mi scusi, non avrei nemmeno dovuto parlare. Le cagne non parlano."
Sono troppo eccitata, i miei ormoni hanno rotto gli argini e mi controllano, parlando al mio posto; i miei occhi sono fuoco, le mie labbra sangue, il mio corpo terremoto.
"Ma questa cagna la farà sborrare e godere, Maestro."
Cerco di ignorare il dolore e sollevo il braccio, portando la mano attorno al cazzo caldo e fremente. Lo accarezzo con lentezza, ma dal suo sguardo capisco che mi chiede di accelerare. Ti sego con avidità, come se stessi godendo più di te.
Non nascondo il mio dolore, poiché noto che gli sta dando un piacere almeno pari a quello della sega; e, con mia sorpresa, mi accorgo che il mio dolore unito alla sua espressione di godimento nel percepirlo, stanno facendo impazzire di piacere anche me.
"La prego di sborrarmi sul viso Maestro, posso chiedere questo premio?"
Accelero e taccio, usando adesso la lingua per leccarti i testicoli frementi.
"Tu non puoi chiedere niente, sei la mia puttana. E che puttana vogliosa sei... ti piacciono le mie palle, vero? O preferisci il mio cazzo? Scommetto che lo vorresti dentro. Lo avrai, ma non adesso."
Sorrido estasiata, sia perché mi considera sua - e quindi non ho perso la mia occasione - sia perché so che prima o poi, in questi tre giorni, mi attende il suo cazzo.
"Mi piace tutto di lei Maestro, corpo e anima. Essere sua è un privilegio."
"Brava troietta, ora sì che ti meriti la mia sborra..."
Preannuncia, un attimo prima di ansimare con suoni gutturali e bassi da animale. Schizza abbondantemente gocce bianche e dense che mi cospargono il viso, bagnandomelo dal mento alla fronte. Alcune gocce mi vanno anche negli occhi e sui capelli, è un fiume ma per sfortuna pochissima mi finisce in bocca.
"Grazie Maestro."
Sussurro prima di prendermi il piacere non concesso di succhiargli il glande per spremere le ultime stille di seme.
"Sei stata molto brava, ora tocca a te"
Mi solleva dando prova della sua forza muscolare e mi fa stendere sul divano per poi chinarsi fra le mie cosce.
Basta un attimo, poche leccate esperte e precise, tocchi rapidi e netti sul clitoride o lappate profonde fra le grandi labbra, ed esplodo a mia volta in un orgasmo che mi pervade totalmente facendomi urlare con forza frasi sconnesse e senza senso.
Fabio non si ferma e si disseta di ogni goccia dei miei umori, fino a che non mi abbandono sfinita. Il suo seme continua a colarmi dal viso al collo al seno, ma lui mi ordina di non pulirmi.
"Aspetta qui, vado a lavarmi. Quando torno continuiamo".
-CONTINUA-
Questo racconto di Giulia LiberaMente è stato letto 3 1 0 0 volte
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