Final Experiment - Urban Legend

Scritto da , il 2021-08-14, genere bisex

VENERDI 13
Come farselo scappare? Ci abbiamo pensato giovedì, al venerdì 13. Abbiamo deciso di aspettare. Nel pomeriggio di venerdì, volevamo il gelato, quindi siamo scesi in centro ed ho avuto il tempo per organizzare meglio tutto il mio piano. Marco mi ha detto solo: - Io mi fido, stupiscimi – Gli ho preso la mano, la sinistra. Il bracciale: - Vorrei che tu mi assecondassi – Ha fatto spallucce: - Come già fatto, padrone – Si è messo a ridere. Beh, un po' da ridere viene anche a me. Ne approfittiamo per fare un paio di acquisti. Non fa domande (fa solo il rompiballe). Bravo. Ed alla fine, ecco cos’è successo.


L’unico orario da rispettare è la mezzanotte, quindi, il resto va organizzato prima e dopo. Dopo meglio di no, sarebbe già sabato. Vorrei finire proprio a mezzanotte. Per prima cosa, imposto una sveglia a mezzanotte ed un minuto.


“Nell’oscurità, l’immaginazione lavora più attivamente che in piena luce.”


Una volta che i suoi sono a dormire (che poi, sicuramente non dormono perché si sente la TV e stanno ridendo alle nostre spalle. Sicuro) ci troviamo davanti al bagno del piano di sopra. Non quello della stanza, quello più grande. Marco è fuori dalla porta, in corridoio, si sta levando i vestiti e mi domanda: - Perché lo faccio solo io? – Mi sembra logico: - Perché io l’ho già fatto, non posso farlo la seconda volta – Mi ribatte con: - Sì, ma non hai visto niente – Aspetto che mi allunghi i boxer e lo spingo nel bagno: - Rispettiamo le regole, e non ti addormentare – Sbuffa e chiude la porta. Il primo è andato. Attendo che finisca di farsi il bagno, intanto, nella stanza da letto, preparo le due sedie davanti al comò con la specchiera. Sul letto ci metto il tavolino per la colazione, che di solito usiamo per stare comodamente al computer. Sopra, la bambola che abbiamo acquistato per l’occasione. È solo una bambola, ma forse ad una bambina piacerà. Controllo che dalle sedie si veda riflessa nello specchio. Fantastico. Siccome ho ancora qualche minuto, ne approfitto per appoggiarmi alla scrivania e scrivere i quattro biglietti che mi serviranno a mezzanotte. “Smile”, “Dog”, il punto e la parentesi. Anche questo è fatto. Li infilo nella tasca dei pantaloncini. Le candele sono già nel bagno con l’accendino, poi passeremo al piano inferiore. Lascio la matita da carpentiere nel bagno, vicino alle candele, così non la scordo. Non me la tengo in tasca quella, è scomoda. Il punto è che deve essere tutto a posto. Dobbiamo farli alla svelta ma senza correre. Ad ogni momento va data la sua importanza. Mentre ascolto le madonne di Marco che arrivano dal bagno, pesco la regina di picche dal mazzo di carte e controllo se tra i trucchi di Melania c’è un rossetto rosso. C’è. Ok, forse è rosa, non importa. Quello ci siamo scordati di comprarlo ma già è stato strano entrare al Toys e comprare una bambola, che poi ci abbiamo anche discusso. Secondo me dovevamo andare sul classico, secondo Marco le sarebbe piaciuta una bambola un po' più moderna. Secondo lui, tutte le bambine amano le bambole belle. Grazie alla signorina gentile abbiamo trovato una via di mezzo (qualcuno dedichi un monumento a quella commessa). Figuriamoci ad entrare e scegliere un rossetto. Sarebbe stata la fine. Fatto questo, ho ancora qualche attimo per liberare almeno un’anta dell’armadio. Fiammiferi sul comodino. Ovviamente, scelgo l’anta senza i cassetti, dai, non c’è molta roba appesa e sul fondo ci sono solo scatole di scarpe. Perfetto. Voglio vedere come ci entriamo, nell’armadio. Ci penseremo quando dovremo farlo.


“A volte, quando prendi due cose ordinarie e le metti assieme al momento giusto, c’è la possibilità che le due cose diventino meno ordinarie”


Marco esce dal bagno bestemmiando in turco e chiudendo la porta a chiave (nessuno deve entrare fino al mattino successivo). Mi affaccio alla porta quando sento l’altra chiudersi. È in mezzo al corridoio nudo come un verme ad occhi chiusi e la chiave del bagno in mano. Me lo guardo qualche attimo prima di avvisare: - Adesso li puoi aprire gli occhi – Scanchera come un dannato perché ha rischiato la morte, e lo so, è un lavoro sporco ma qualcuno doveva farlo. Mi raggiunge in camera da letto, mi chiede della mossa successiva. Indico: - Vestiti e siediti – S’ infila pantaloncini, maglietta e scarpe, poi guarda la bambola, guarda me, e mi dice: - Ma non dovevamo andare a letto dopo Daruma? – È proprio questo il bello: - Sì, ma non sarebbe stato folle. Dai – Siede sulla sedia, spengo le luci, accendo la torcia del telefono, mi siedo vicino a lui e gli spiego quello che dobbiamo fare. Ascolta, guarda la bambola dallo specchio senza dire una parola e quando siamo pronti, conto fino a tre. Riusciamo a dirlo assieme: - Vogliamo giocare alla tela di Charlotte – Rimaniamo in attesa, le diamo quel quarto d’ora in cui la invitiamo a giocare con la bambola, poi, senza mancarle di rispetto e sperando che non s’incazzi, dico: - Charlotte, puoi rimanere a giocare quanto vuoi con la bambola, ora noi dobbiamo fare un’altra cosa, ma sei la benvenuta fino a quando vorrai rimanere – Marco mi guarda attraverso lo specchio sgranando gli occhi: - Non riesco a capire cosa stai facendo – Mi alzo senza accendere le luci, tengo soltanto la torcia del telefono accesa: - Secondo me tra un po' lo capisci… andiamo – È il momento di spostarsi nel bagno.


“Anche lo specchio migliore non riflette l’altro lato delle cose”


Accendo le candele e spengo il telefono, gli do in mano il rossetto. La sua espressione mentre lo guarda con la faccia da “e cosa dovrei farci?” è meravigliosa, spiego: - Disegna una porta con una scala sullo specchio – Lui mi allunga indietro il rossetto: - Non ci penso neanche, sei tu l’artefice, io ho già telefonato a Daruma – Posiziono la carta della Regina di Picche contro lo specchio e preciso: - Sei tu l’ingegnere. Se lo faccio io e commenti, il prossimo che evocherò sarai tu – Prendo il rossetto, non è che possiamo stare a smacchiare i leopardi. Mi fissa come un nonno sul cantiere mentre disegno la porta e la scala sullo specchio. La faccio un po' grande, visto che dobbiamo guardarla in due. Lui bofonchia qualcosa ma lo minaccio col rossetto in mano: - Stronzo, lo facevi tu ed era perfettamente in scala, visto che l’ho fatto io, usa l’immaginazione – Mi indica lo specchio: - Ti sembra una scala quella? – Sbuffo, ormai l’ho disegnata: - Immagina che sia una scala, e che ci sia la Regina di Picche che esce dalla porta e sale la scala. Tanto devi chiudere gli occhi, immaginati … una scala con l’alzata e la pedata corrette, checcazzo – Sospira e si mette davanti allo specchio con me. Chiudiamo gli occhi e recitiamo: - Regina di Picche, vieni. Regina di Picche, vieni. Regina di Picche, vieni – Io la Regina di Picche me la immagino veramente gnocca. Voglio dire, la Regina di Cuori di Alice non riuscirei ad immaginarla provocante, ma una Regina di Picche mi sembra tipo la strafiga che ti bidona malissimo, non può essere un rugaterra. Sono ancora lì che mi immagino la Regina che mi arriva una gomitata in una costola. Marco mi dice: - Oh, e adesso? – Che palle, per un attimo che mi stavo immaginando una cosa bella. Sbuffo: - Mi stavo immaginando la Regina di Picche, rompicoglioni – Mi risponde: - Non abbiamo tutto sto tempo, demente, te le fai dopo le seghe sulla Regina di Picche – Ha ragione anche stavolta. Tocca al successivo.


Qui prendo due piccioni con una fava perché gli dico: - Senza spegnere le candele, ora tu chiudi gli occhi e dici “Candyman” per cinque volte di fila – Lui mi guarda storto, si stringe nelle spalle e mi fa solo: - Ooooochei – Ci siamo anche ora: - Pronto? – Quando siamo pronti, lui inizia col suo: - Candyman, Candyman, Candyman, Candyman, Candyman – Solo che sui suoi tre ultimi Candyman gli rispondo: - Bloody Mary, Bloody Mary, Bloody Mary – Quando riapro gli occhi me lo trovo di fianco tipo il Duce con le mani sui fianchi: - Perché a me Candyman e tu Mary? – Con la discussione sul fatto che io sto chiamando le gnocche e lui no, ci perdiamo altri cinque minuti, finché non taglio corto: - Dai, quello dell’armadio lo chiamiamo assieme – Infilo in tasca la matita, soffio sulle candele ed esco dal bagno prima che possa protestare ma non è che sono così lontano, i suoi accidenti li sento. La bambola è ancora seduta sul tavolino in mezzo al letto. L’unica luce che c’è, ora, è quella della luna e dei lampioncini dell’aia; nella penombra sì, è abbastanza inquietante.


“Il demonio non può nulla contro la volontà, pochissimo sull’intelligenza e tutto sulla fantasia”


Gli indico la porta dell’armadio: - Entra – Si ferma sul tappeto e chiede: - Nell’armadio? – Voglio dire, a me sembrava ovvio. Prendo i fiammiferi dal comodino, gli sbatto la scatola davanti alla faccia: - Adesso vedi come si fa ad andare a fuoco con uno stupido gioco… e con i nostri corpi carbonizzati troveranno la bambola… e diranno che eravamo due adoratori del demonio e che ci è andato male un rituale satanico – Mi prende la scatola dalle mani: - Ci penso io con questi, tu sei già abbastanza pericoloso senza niente in mano – Ci infiliamo nell’armadio. Si sta davvero, davvero stretti. Molto stretti. Siamo appiccicati. Tiro l’anta. È vicino, molto vicino, me lo sento respirare sul collo. Fa caldo, fa già caldo di suo, se poi la sua presenza ce l’ho attaccata addosso… Mi sussurra: - E adesso cosa dobbiamo fare? – Mi piace la voce di questo diavolo dell’armadio. Cerco un filo di spazio che non esiste: - Devi accendere il fiammifero – lo sento trafficare con la scatola. Lo sta facendo all’altezza dei fianchi, altrimenti rischia veramente di andare a fuoco tutto. È l’unico spazio in cui può accenderlo e spegnerlo rapidamente senza combinare danni. Mi schiaccio contro la parete per lasciargli più posto che posso, mi chiede: - Pronto? – Cazzo, prontissimo, e non solo per il fiammifero. Sento lo strusciare ed il crepitare della fiammella che si accende. Lo dico rapidamente, prima che spenga la fiamma: - Show me the light or leave me in eternal darkness – è una frazione di secondo. Il suo volto s’illumina della fiamma del fiammifero. Un lampo. La sua testa inclinata di fianco per controllare quello che sta facendo, il riflesso rosso dei suoi capelli, il suo braccio che si muove velocemente per spegnere il fuoco mentre la sua testa si sta voltando per volgermi uno sguardo che termina nell’oscurità. L’immagine che ho visto nel tempo di un battito di ciglia mi ha messo i brividi. Il suo sussurro, però, mi raggiunge con un: - Eh? – Gliela ripeto: - Mostrami la luce o lasciami nell’oscurità eterna – Sbuffa: - Ho capito, ma che cazzo sarebbe questo? – Allungo le mani sui suoi fianchi: - Questo è il demone dell’armadio – Mi sto davvero divertendo ora. Dovremmo entrare più spesso nell’armadio: - Ah, giusto, certo era logico. Questo è quello dell’armadio, ed ora che si fa? – Non sono ancora pronto per uscire dall’armadio, spiego: - Adesso bisogna stare a sentire se succede qualcosa – Le sue mani s’infilano tra la mia schiena e l’armadio. Si appoggia. No, ce lo stiamo appoggiando a vicenda. Ride: - L’unica cosa che sento al momento è il tuo cazzo – Me lo stringo addosso, la sua pelle è calda e profumata di: - Ma, perché sembri una brioche? – Mi pizzica una chiappa: - Deficiente, c’era solo lo shampoo di mia mamma di là – Mi viene da ridere ma lo annuso: - Mi piace, è… strano su di te – Mi strizza più forte: - Se non la pianti ti lancio direttamente dalla finestra – Adesso sono io a stringerlo: - No… no. Non mi sento ancora pronto per uscire dall’armadio, ma sto iniziando ad avere davvero, davvero caldo – Il diavolo mi sussurra all’orecchio: - Adesso lo voglio fare io un esperimento… vediamo se esiste l’autocombustione – Questa non ci era ancora capitata. Di segarci in un armadio. La vita è piena di sorprese. Quando usciamo da quell’anta sembra che siamo usciti da una sauna, solo che oltre che sudati siamo anche piuttosto appiccicosi. Ci guardiamo nella penombra della stanza buia. Doccia. Non possiamo perdere troppo tempo, non possiamo perderne altro. Stiamo ridendo come due dementi e decidiamo di dimezzare i tempi dandoci una sciacquata assieme. La doccia è novanta per novanta, diciamo che non siamo appiccicati come nell’armadio ma c’è un motivo se non facciamo le “cose sexy” nella doccia. Non sono sexy per un cazzo. Mentre siamo spiaccicati lì dentro, mi schiaccia con la schiena contro al muro e tenta di affogarmi col doccino improvvisando un interrogatorio: - Dimmi qual è il tuo piano – Mi viene da ridere ma se rido mi strozzo. Gli prendo la mano e gli abbasso la doccia: - Sto organizzando un’orgia e siamo in ritardo sulla tabella di marcia – Sgrana gli occhi, penso che stia per darmi dell’asino e mandarmi affanculo ma è peggio di me. L’unica cosa a cui pensa è: - E hai chiamato Charlotte?? È una bambina!! – Rimango putrefatto.


“Hai superato il confine della mappa, amico. Qui ci sono i mostri”


Siamo al limite, abbiamo ancora pochi minuti. Scendiamo le scale. Controllo di avere quello che mi serve: - Spegni le luci, prendo la bottiglia – Lo osservo uscire dalla porta che da sul giardino. Vado a recuperare la bottiglia del nostro rum preferito, i bicchieri ed il fondente. Stasera ci sta. Esco nel giardino buio ed appoggio tutto sul tavolino. Sfilo la matita da carpentiere dalla tasca e lui mi indica: - Questa la so! – Si avvia verso il giardino, sotto la luce della luna crescente. Slenderman era la sua prima scelta. È bello vedere un bambino soddisfatto. Sceglie il ciliegio. Anche io avrei scelto quello. Segno il mio cerchio con la croce e passo la matita a Marco che fa lo stesso. Uno da un lato e uno dall’altro del tronco. Non siamo nel bosco ma speriamo che Slenderman non si formalizzi e poi insomma, il bosco è poco al di là del muro di cinta non dovrebbe essere così fiscale, fa male alla salute. Anche qui gli chiedo: - Pronto? – Lui mi guarda da dietro al suo lato e mi dice: - Ma io non mi ricordo cosa c’è da dire – Sapevo io. Quindi, dopo aver appoggiato entrambi la fronte sulla croce, parto e lui ripete dopo di me: - Slenderman, Slenderman, all the children try to run. Slenderman, Slenderman to him it’s a part of the fun. Slenderman, Slenderman, dressed in darkest suit and tie. Slenderman, Slenderman you most certainly will die – Di questo sembra soddisfatto ma non abbiamo quasi più tempo, giusto quello di arrivare al tavolino sotto al gazebo, mettere in fila i fogli, batterci sopra in sequenza e ripetere per le tre volte: - Smile Dog come, Smile Dog come, Smile Dog come – La sveglia suona. Mezzanotte e un minuto. Siamo stati perfetti, sega compresa. Mi lascio cadere sul divano, verso il rum, spezzo il cioccolato. Marco prende il suo bicchiere, si siede di fianco a me con un sospiro e chiede: - Me la spieghi? – Stacco metà del quadrato di cioccolato coi denti e gli passo l’altra metà: - Abbiamo appena aperto otto rituali legati alle Leggende Metropolitane più famose… di venerdì tredici – Lui si allunga per prendere il cioccolato dalle mie dita direttamente con la bocca. Rigira il rum nel bicchiere che tiene nel palmo della mano: - Si ma non li abbiamo finiti – Era proprio qui che lo volevo: - Appunto – Lo vedo portare il bicchiere alle labbra: - E adesso? – Mi gusto il rum, il cioccolato, socchiudo gli occhi: - Adesso aspettiamo di morire – La toccata di maroni gli parte in automatico, posso capirlo: - Ma sei un deficiente! – Mi fa ridere.


“Quando il Demonio ci molesta non dobbiamo avere paura, basta dare la mano all’Angelo Custode”


Quando il rum ci ha storditi a sufficienza ed abbiamo deciso che nello stato in cui siamo potremmo davvero vedere qualcuno degli ospiti che abbiamo invitato alla festa, decidiamo di andare ad infilarci a letto. Nella stanza c’è il caos che abbiamo lasciato. Le sedie sono in mezzo, la bambola è sul letto, la chiave del bagno padronale sul comò e l’anta dell’armadio aperta. Non ce ne frega un cazzo, stiamo troppo bene per preoccuparci di qualcosa. La bambola finisce per direttissima sul tappeto ed il resto può andare a farsi benedire se teme che qualche diavolo se lo pigli. Ci laviamo i denti ridendo. Marco sparge il rossetto di Melania con un dito. Mentre mi sollevo davanti allo specchio, lui segna una riga orizzontale all’altezza del mio collo. Mi decapita il riflesso e mi miagola: - Sei morto – Ride. Bagno la mano, la passo dall’alto al basso sul rossetto col risultato di sbavarlo. Le gocce che intrappolano il rosa acceso del cosmetico iniziano a gocciolare sulla mia immagine mezza nuda nello specchio. Lo guardo, sento la testa appannata, leggera. Lui solleva gli occhi e rimane con lo spazzolino in bocca. Sorrido stringendo il mio tra i denti e gli spalanco gli occhi. È un vecchio trucco “di famiglia”. Probabilmente solo io e mio padre abbiamo la capacità di apparire veramente folli quando lo facciamo. Marco rimane immobile, è bellissimo. Il suo, di trucco, è quello di stringerli abbassando le sopracciglia. In quel caso sembra veramente minaccioso. Peccato che io lo trovi assolutamente affascinante. Si sciacqua e mi lascia spazio. Mi dice: - Vince sempre la pazzia, non c’è niente da fare – Finisco anche io di sciacquarmi e lo sorprendo, uscendo dal bagno, un secondo prima che aggiri il letto. Lo spingo alle spalle e lui si lascia cadere in avanti. Atterra di muso sul copriletto. Gli sono addosso in un secondo. Ride, tenta di sgattaiolarmi via da sotto. Stringo le gambe. Mi abbasso sulla sua schiena: - Preso – Lui si gira, lo lascio fare. Mi guarda in faccia mentre si trascina all’indietro lungo il materasso, verso la spalliera del letto. Continuo a gattonargli sopra. Mi sussurra: - Quando siamo saliti la bambola non era più seduta – Non me ne frega un cazzo, cadono un sacco di cose ogni giorno. Mi piace la sua espressione però. Ho lasciato la porta del bagno aperta. Magari ci vede qualche ombra. Chiedo: - E com’era? – Lui guarda la bambola che ora giace riversa sul tappeto: - Sul fianco – Sembra serio, io mi sto divertendo: - Magari a Charlotte è piaciuta – Mi osserva con uno sguardo severo: - È solo una bambina, non c’entra con gli altri – Continuo a sorridere, non riesco a togliermi la sensazione di vittoria dalla faccia: - Non ho mica detto niente di male, ho detto che magari la bambola le è piaciuta – Solleva le braccia e me le appoggia alle spalle: - Congedala – Scuoto lentamente la testa: - È una Leggenda, non esiste. Charlotte non esiste – Mi avvinghia le braccia al collo: - Dobbiamo congedarla, assieme – Mi avvicino alla sua bocca: - E tutti gli altri? Cosa facciamo, mandiamo via solo lei? È profondamente ingiusto – Mi succhia le labbra, mi piacciono le sue. Quando si scosta mi mormora: - Non esistono neanche gli altri – Mi sollevo di fronte a lui, mi porto le sue mani alla bocca, gli bacio i palmi e li appoggio sui miei pettorali: - Bravo, cucciolo di mostro, non esistono. Esistiamo soltanto io e te, qui. Ma… - Accompagno le sue mani che mi accarezzano. Sono decisamente stordito: - Puoi sempre immaginare che ci siano. Se ci fossero… ora ti osserverebbero, nascosti negli angoli bui della stanza, con gli occhi brillanti d’odio, pronti a sgozzarti. Hai paura delle streghe, dottore? – Mi sta fissando, ho la sua attenzione. Lascio andare le sue mani e le stringe dietro la mia schiena. Si solleva, mi sento tirare e faccio forza perché non mi trascini giù. La sua bocca arriva sulla mia pancia. Mi piace. Lo sento scendere. Mi abbassa i boxer ma non si avventa pur trovandomi già interessato alla situazione. Sento le sue labbra scivolare fino alla base del cazzo e girarci attorno. Sento la sua guancia farmi il solletico contro il fianco, contro la coscia e poi perdersi dove inizia la stoffa. Mi stringe la schiena, le sue dita scendono a prendersi una porzione di carne più morbida e poi sento la forza delle sue braccia ribaltarmi sul materasso. Mi lascio cadere. Mi lascio spogliare. Lo lascio comparire oltre il mio desiderio, tra le mie ginocchia. Nella penombra, è l’unica Leggenda che vedo e che posso percepire. I suoi occhi brillano, feroci, rapaci. Mi spinge indietro le gambe, lo assecondo. Lo vedo abbassarsi, quella testa di seta rossa s’inabissa e perdo il suo sguardo per trasalire allo scivolare della sua lingua infernale sotto le palle. Le sue mani mi stringono le cosce, mi tiene come vuole lui, va bene. Sì, va benissimo. Mi piace quando non si ferma, mi piace quando riesco a sentire quella scossa feroce che mi tende. Lo voglio. Lui solleva gli occhi, ritira la lingua. Lo vedo richiamarla tra le labbra come un serpente lascivo. Il suo sguardo sul risultato della leccata di coglioni che mi ha appena riservato è la soddisfazione che s’incarna davanti al mio. Lascia le mie gambe, mi sento libero. Ora è lui che mi scivola sopra. Avanza con le braccia piegate, spingendosi con le gambe e strisciando, disteso come un rettile, come: - Jenny… - Lui si blocca, mi guarda. Il movimento della sua testa è quasi teatrale, il suo sorriso affilato: - Sei ubriaco – Sorrido di rimando: - Si, ma ci sono, e tu? – Torna ad avanzare, l’immagine di Jenny si dissolve quando la sua faccia è a pochi centimetri dalla mia: - A livello – Perfetto. Si lecca le labbra prima di leccare le mie. Si appoggia, la sua pelle sulla mia è una carezza rovente. Mormora: - Voglio sapere com’è farsi cavalcare da sbronzi – Mi piace, gli rispondo: - E io com’è fare gli stronzi – Me la ricordo quella scopata mortale, ora voglio proprio rendergli il favore. Si rovescia sul suo lato, allunga la mano verso il cassetto del comodino, traffica, rimane a fissare l’anta dell’armadio qualche attimo: - Hai lasciato tu l’anta aperta? – Lo strattono verso il centro del letto e lo scavalco col ginocchio: - Ma che ne so – Mi appoggio sui suoi pettorali. La sua mano è scivolosa in meno di un secondo. Mi sollevo per lasciare che si prepari, poi gira il palmo verso l’alto. Sento le sue dita cercarmi, violarmi con delicatezza. Scivola attorno alla mia carne che lo sta invitando. Non sposto le mani dal suo petto, sento il suo dito spingere, i suoi occhi mi stanno inchiodando quanto le sue dita.


“Gli Dei ci invidiano perché siamo mortali”


Stargli sopra è come cavalcare un Titano. Riesco a sentire la sua forza che si spinge verso l’alto. Supplico: - Stai fermo – Lui si blocca, mi guarda con l’espressione di quello che sa benissimo cosa mi sta succedendo e quello che mi succede è semplicemente che quando mi forza e mi scivola dentro mi leva il respiro. Senza rendermene conto faccio la stessa cosa che ha fatto lui in giardino, non troppo tempo fa, mi muovo piano, salgo e scendo su quello scettro di carne con la lentezza che voglio sentire accarezzarmi da dentro, premere, riempirmi. Mi porta via la testa, mi stringo e lascio che la mia mano faccia da sé, assecondo semplicemente un piacere che va al di là della percezione dei sensi. Evidentemente sono proprio ubriaco. Lui è fermo e mi rendo conto che mi sto inclinando indietro e mi sto muovendo con l’unica intenzione di sentirlo ovunque, in ogni direzione. Sposta il ginocchio, mi offre l’appoggio ed io lo accetto senza nemmeno accorgermene. Lo sento tendersi ed alzare il bacino, mi sento bruciare. Mi asseconda e lentamente m’incalza. Quando lo guardo, i suoi occhi mi folgorano prima di abbassarsi, esattamente come ho fatto io. Lo so cosa sta guardando e mi sollevo di più, voglio che veda bene quello che sta facendo, quello che sto facendo. Il suo gonfiare l’uragano è talmente lento che quando me lo sento spingere da sotto con tutta la forza che ha e mi rendo conto delle sue mani che mi artigliano le cosce è troppo tardi. Riprendo coscienza nel momento in cui sto per esplodere. Lui mi sta ringhiando il proprio piacere con ferocia, mi accorgo di stringere i suoi fianchi scivolosi con le ginocchia e che il mio stesso ventre è lucido di sudore. Riemergo dal torpore per pochi secondi, solo per farmi portare via dal suo muso diabolico che mi mostra i denti dal fondo degl’Inferi. Sta ansimando, mi sento il suo respiro nel cervello, mi sento a cavalcioni di Oceano. Lo sento arrivare, me lo sento battere dentro con la forza del maglio di Efesto. L’attimo in cui la sua voce mi ripete “ci sono” mi sveglia, il suo “vengo”, mi porta via. Le sue ultime sgroppate sono quelle di un Incubo, lascio andare la mano, lascio soltanto che mi accompagni fino alle vette dell’Olimpo ed alla fine posso solo scorgere il bagliore del fulmine che mi svuota l’anima e mi lascia orfano di qualunque forza. Crollo su quel Centauro potente e mi lascio disarcionare. Rido verso il buio e le Leggende che spiano nascoste nell’ombra. Ade mi ha appena aperto i cancelli cacciandomi fuori a calci in culo ed io sto guardando il mio Dio che riprende a respirare con me, madido di sudore e macchiato del mio piacere che gli scivola ancora sul ventre incanalandosi tra i solchi del suo respiro.


“E’ l’ora in cui le cose perdono la consistenza d’ombra che le ha accompagnate nella notte e riacquistano a poco a poco i colori…”


Marco: - Ehi… buongiorno –
- Ehi… -
Marco: - La vasca da bagno era vuota –
- L’avrà vuotata tua madre –
Marco: - La porta era chiusa a chiave –
- Avrà il tappo che perde –
Marco: - L’anta dell’armadio era aperta –
- Me la sarò scordata –
Marco: - La bambola non era più seduta –
- Esiste la gravità –
Marco: - Hai sempre una risposta per tutto? –
- Buongiorno -

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