Storie di vita. 1. Lezioni di geometria ovvero uso alternativo del righello

Scritto da , il 2016-06-30, genere gay

Sono successe tante cose durante la mia giovanile “gayezza, queste trovano in parte riscontro in molte delle storie che avete già letto, ora ve ne racconto altre”:
“la chiamavano Bocca di Rosa…” di lì a poco questo sarebbe stato il ritornello intonato da coloro che mi avrebbero posseduto, influenzati dalla mia abilità orale, dalla mia disponibilità anale ma anche dai miei slippini. Rammento, infatti, che a quei tempi, grazie alla merceria gestita da una amica di famiglia, era arrivato in casa uno stock di queste mutandine. In casa, per risparmiare, mia madre me le fece indossare per un lunghissimo tempo. Pur essendo di vari colori, avevano una evidentissima rosa stampata sull’etichetta interna.
Nulla di più appropriato. Durante il normale utilizzo ovviamente l’etichetta non si vedeva, ma siccome me le sarei tolte di continuo, sempre pronto (pronta) all’uso, erano destinate a diventare di dominio pubblico contribuendo in maniera determinante alla mia puttanesca reputazione, suscitando ilarità.
Loro si sarebbero divertiti come pazzi.
Bisogna, però, dire che io sono stato scopato da sempre, a prescindere dal mio abbigliamento intimo, era divenuto naturale chiedermi il culo.
Avevo un carattere fragile, remissivo. Ero un ragazzino viziato, imbronciato e piagnucoloso, una fragile femminuccia facile da abbordare e comandare, con un deretano veramente provocante (anche questo lo avete già riscontrato nei protagonisti principali delle altre storie, ma è tutto vero).
Tutto ciò andò ad attirare e mandare in visibilio sia gli esigenti amanti di certi piaceri particolari, gli esteti dei culetti glabri e sottomessi, delle ragazze col Pisellino (il soprannome che mi sarà affibbiato per le mie scarse dimensioni e che ho usato come nickname) che quelli meno raffinati ma che scopano qualsiasi cosa.
Tali insospettabili persone sono molte di più di quanto vi immaginate.
Tra i primi ci fu il vicino di casa, mister 22 x 19 centimetri.
Lo chiamerò Professor Oscar.
Vedovo, viveva solo in una bella villetta dall’altra parte della strada.
Era un insegnante in pensione, elegante, dalle buone e forbite maniere che, con grande felicità dei miei genitori mi dava lezioni gratuite in varie materie contribuendo al mio buon profitto a scuola.
Loro, ovviamente, non sapevano che mentre stavo con lui ero quasi sempre nudo, con l’ulteriore particolarità che solo la minima porzione del tempo, quella strettamente necessaria, era impegnata nella lezione, per il resto stavo lì con le chiappe per aria ed il suo attempato tarello fuori misura che mi entrava ed usciva dal culo o dalla gola.
Andammo avanti per anni, generalmente durante il periodo corrispondente ai mesi scolastici.
Mi dedicava tre pomeriggi a settimana, alcune volte mi fermavo anche la sera, quando i miei tardavano al lavoro. Ho ancora in mente le raccomandazioni di comportarmi bene: “Fai il bravo! Devi obbedire al Professor Oscar, fai tutto quello che ti chiede!”.
Lo facevo, eccome se lo facevo!
Lo ringraziavano di continuo e lui, di fronte a tanta gratitudine, mi sbatteva come una cagnetta.
Non volle mai soldi o regali, allora, per sdebitarsi, lo invitavano spesso a cena. Dopo mio padre mi ordinava di accompagnarlo a casa, ovviamente andavo ed ogni volta ci scappava la ripassata: bocca, culo, bocca. Affermava che si eccitava a stare lì al tavolo con me e doveva porvi rimedio.
Diceva di avere una visione greca del rapporto insegnante – allievo, che gli istitutori greci inchiappettavano i loro studenti per insegnargli la dedizione ed il rispetto.
In buona sostanza era un porco a cui piacevano i culetti teneri teneri ed obbedienti. In questo modo ha svezzato molti “discepoli”, per decenni, parole sue.
Mi trasmise la sua passione per la geometria e gli misurai il cazzo in tiro con un righello. Durante un’altra lezione, per la circonferenza, adoperai un metro da sarto, di quelli a fettuccia che si arrotolano.
Oscar è stato un vero maestro, mi ha insegnato molte cose, anche se non fu lui a sverginarmi, infatti, il culetto ancora chiuso e strettissimo me lo spalancò qualche estate prima, mentre eravamo soli in casa e mi mostrava le cose strane ed esotiche che aveva portato con sé, un dimenticato parente tornato in vacanza al paese dopo molti anni (leggete il racconto “Al cantiere e altri luoghi”: ha preso spunto da quell’episodio realmente accaduto).
Il lontano cugino di mia madre mi sodomizzò per tutto il tempo della vacanza, pressoché quotidianamente. S’innamorò del mio angusto pertugio, rientrò per parecchie estati, giusto per scoparmi.
Inoltre, nel frattempo, erano intervenuti alcuni “amici” che mi sbattevano abbastanza regolarmente.
Il cugino era dotato di un calibro lungo circa venti, infatti, misurai col righello anche il suo cazzone, non la prima volta ma tempo dopo. Le misurazioni erano nel frattempo diventate un’abitudine, un gioco che mi sarei portato dietro per sempre. Inizialmente cercavo di farlo con tutti, in seguito solo i più importanti membri, non solo per grandezza ma anche per abilità e assiduità, finirono sul mio virtuale taccuino.
Da allora, anche se sono sempre stato, piuttosto “stretto”, ho avuto una predilezione per quelli più grossi, anzi, li ho cercati, dovevo “sentirli” e il dolore faceva parte del piacere. Intendiamoci, non dissi mai di no a nessuno, a prescindere dalle misure avrei finito col concedermi a tutti.
Una vera puttanella, anche grazie alle lezioni del Professore. Di lì a poco sarebbe bastato che un maschio mi cercasse, ma anche più di uno per volta, tipo due o tre amici che stavano assieme, mi dicessero: “Ce lo dai?”.
Non sarebbe servito altro: io avrei annuito con un languido sbattere di ciglia. Se c'era fretta o timore di essere beccati ci saremmo infrattati nel primo posto utile, mi sarei calato i pantaloni e le famose mutandine con la rosa, loro me lo avrebbero sbattuto dentro, uno dopo l’altro o insieme, bocca e culo, poi sarebbero venuti.
Ma se c'era la possibilità avrei applicato gli “insegnamenti” del mio docente e le cose sarebbero state un po’ più articolate, sempre puttanella ero, ma le cose fatte con più calma erano più belle per tutti partecipanti. In questi casi mi comportavo proprio come una femmina, porgevo loro il mio deretano con lo sguardo ingenuo e le dolci movenze di una fanciulla (o almeno come pensavo facesse una fanciulla).
Ma ora torniamo al Professor Oscar: si trasferì vicino a noi alla morte della moglie, lasciando l’abitazione dove viveva con lei, molto più grande, al figlio.
Era sveglio, si guardò attorno e notò subito la leggiadra checchina che viveva accanto a lui, la timida, potenziale, troietta dal magnifico promettente culetto, decise che la voleva anche lui e se la prese. Organizzò la cosa e si presentò ai miei genitori. Quando loro seppero chi era e quanto fosse disponibile non gli parve vero di aver trovato qualcuno che si occupasse di me, oltretutto facendomi studiare.
Affatto sorpreso dal fatto che non fossi vergine, disse che era prevedibile che una fighetta così, disponibile e con un culetto del genere, avesse già goduto delle attenzioni di qualche intenditore.
Tra l’altro, oltre dei culetti freschi era anche un patito delle boccucce intonse. Era piuttosto alto, inizialmente il doppio di me e stavamo in piedi, uno davanti all’altro mentre io glielo succhiavo, senza piegarmi, già così presto con grande trasporto e applicazione, anche in questo caso non fu il primo a cui lo presi in bocca (la prima volta fu contemporanea alla prima inculata) ma mi spiegò per filo e per segno come dovevo fare con lui, affinandomi la tecnica.
Ora si poteva parlare veramente di “pompino”.
Del resto non avevo mai provato alcuna repulsione, ne l'avrei mai provata, tanto è vero che sarebbe diventato normale utilizzare la mia lingua per ripulirselo da parte di coloro che erano venuti in un culo, il mio o quello di qualche altra ninfetta che, quando entrai in un cero “giro”, veniva sodomizzata assieme a me.
“Accidenti Pisellino, guarda cos’hai combinato, è sporchissimo” mi diceva il Professore dopo avermi scopato.
Glielo lucidavo a specchio.
Prendo cazzi in bocca da sempre e col tempo ho portato la mia abilità a livelli altissimi, un’arte.
Sono un’idrovora, ho la lingua di velluto e la gola profondissima, insaziabile.
Non è mai esistito che qualcuno me lo sbattesse nel culo e poi andasse via col cazzo smerdato.
Da allora ci sarebbero stati molti, molti padroni, amichetti e amanti.
Ci fu un brevissimo periodo durante il quale mi si faceva solamente il Professor Oscar. Soprattutto le prime volte Il trattamento era pesante e non mi lasciava molto margine per altre scopate.
Il professore era ancora duro come l’acciaio e non usava alcuna accortezza, padrone assoluto mi spaccava in due come una mela, mi raddrizzava le anse dell’intestino.
Per lui ero una sorte di moglie, anzi, di mogliettina/amante, testuali parole, con la quale soddisfare i propri istinti.
Il giorno prima di partire per le vacanze prese una pasticchina: mi sfondò talmente che camminai in maniera strana per una settimana, a gambe larghe. La parte attorno al buco era tutta arrossata, mi bruciava il canale fino a dentro e mi faceva male la pancia, era arrivato a sbattere con il suo cazzone contro un punto interno particolarmente sensibile. Ma mi era piaciuto!
Quando in casa mi chiesero cosa fosse successo m’inventai la scusa di una caduta dalle scale. Il nostro patto di segretezza non poteva essere infranto.
Questa cosa della pasticchina divenne abituale, soprattutto con l’andar del tempo, soprattutto quando le mogliettine/amanti divennero due, io e un altro culetto che portai da lui a studiare la geometria, poi vi dico.
L’esclusiva del Professore sul sottoscritto, però, era già finita, altri mi stavano reclamando ed io li volevo.
Ho altre storie da narrare, alcune contemporanee al periodo in cui andavo dal Professor Oscar, altre successive.
Se avete pazienza, ve le racconterò.

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