Latrina II (la storia di Scovolina)

Scritto da , il 2010-08-11, genere dominazione

Quando si dice unire l’utile al dilettevole…questa storia ha avuto inizio circa un mese fa. Ricevetti una mail che diceva



Mi hai fatto eccitare col tuo racconto, adesso sono tutta bagnata come una vera troia in calore. Mi è sempre piaciuta l’idea di essere schiava, ma ecco tipo cesso, tipo segretaria personale una cosa così…

Vuoi scrivere un racconto per me?

Potrei servirti sotto la tua scrivania, restare in ginocchio per tutto il giorno e servirti….



La lessi, la rilessi. Con tutta probabilità si trattava di uno scherzo, non sarebbe stato il primo coglione che si andava spacciando per ragazza, per schiava, mandandomi un messaggio fasullo per vedere come mi sarei comportato.

Risposi ugualmente senza prenderla troppo sul serio, scrissi un racconto in tema e lo inviai ad un paio di siti del web. La storia fu pubblicata dopo un paio di giorni, come sempre. Una premessa, io scrivo. Scrivo per hobby, perché mi piace e scrivo per soldi, perché mi permette di mantenere me, la mia casa, la villa con vista mare a Lerici ed una BMW coupè dai sedili in pelle.

Non è che avessi bisogno della bocca della fantomatica, anonima ammiratrice per soddisfare le mie piccole necessità. Ho una ragazza per gli incontri ufficiali ed insieme condividiamo una schiava di poco più di vent’anni che ci adora come fossimo divinità. Si chiama Monica, la schiava. Per la villeggiatura ho un’altra leccapiedi di nome Benedetta che scatta ad ogni mio ordine. Insomma, sono uno che non infila il proprio prezioso membro nel primo pertugio femminile orale che gli capita. La scelta di una schiava è un po’ come la scelta di una vacca da latte per il proprietario di una fattoria, non la si può prendere a casaccio. Certo, molti se la sognano una serva. La cercano disperatamente, insistono nel mettere penose, scialbe inserzioni su siti internet…tutto inutile, non le vedono neppure da lontano. Questo perché le schiave, in fin dei conti, sono donne. Ma l’accendete mai la televisione? Non lo vedete dietro a chi scodinzolano queste cagnette? Calciatori, ricchi industriali, nobilotti senza palle, personaggi di successo. Se sei un signor chiunque ti respingono come fa l’acqua con l’olio. Io non gioco a calcio. Fossi matto, non mi voglio mica rovinare la salute col doping e tutti quei veleni che si sparano in corpo per trottare come pazzi! Non sono un industriale. Scrivo, come ho detto ed i miei libri vendono bene. Ho quattro pseudonimi, pubblico un po’ con uno e un po’ con un altro. Le donne non mi mancano. Sbavano per il conto in banca, lo so bene, non per effettivo affetto nei miei confronti, ma è normale così. Niente finzione, questa è la cruda realtà. Naturalmente se loro sono false con me io non sono di certo sincero con loro. Le faccio sperare, queste puttanelle dalle gambe longilinee e tre neuroni per emisfero cerebrale, le addolcisco quanto basta per farle avvicinare. Se mi stanco di loro le lascio, ne trovo altre. Non rappresenta un problema. Ho anche un discreto carisma e non sono fisicamente da scartare, perché la scrittura mi lascia assai tempo per me stesso e qualche ora di palestra me la concedo volentieri. Perciò, ribadisco, con le donne non ho mai avuto problemi.

E con le schiave? Beh, sapete, è la stessa cosa. L’odore dei soldi le narcotizza, le attira, strisciano ai miei piedi come le cagne che sono, implorano e pensano “un padrone per le mie voglie più inconfessabili e magari un’amante ricco per farmi vedere in giro dalle amiche”.

Glielo faccio pensare per qualche giorno, giusto il tempo per renderle schiave a tutti gli effetti; le addestro a dormire di fianco al mio letto, come tappetini, a leccarmi le scarpe che voglio sempre pulite e lucide, a baciarmi per tutto il corpo e a soddisfarmi sessualmente.

Poi, quando orami sono cotte, la sorpresina. Te ne puoi andare, scema, ho trovata un’altra serva, se dovessi avere ancora bisogno di te ti farò spere. Per ora aria, vacca. E non farti più vedere al mio cancello.

E questa nuova aspirante? Certo si presentava assai male. Volgare, troppo diretta. A me piacciono le timide. Ma in fondo perché non darle un’occasione?

Mi richiamò due giorni dopo la pubblicazione del racconto. Voleva assolutamente incontrarmi. Le diedi in mio cellulare, un orario d’appuntamento ed un primo ordine.

“Fatti bella”

Si presentò sul luogo dell’incontro con mezz’ora d’anticipo. Anch’io arrivai in orario, ma mi trastullai un poco al bar accanto alla stazione (il luogo in cui avevo stabilito cha avvenisse l’incontro) per farla attendere più del necessario. Volevo testare la sua convinzione di essere mia schiava.

Resse. La incontrai. Mi sentivo un po’ come un buon samaritano che concede alla serva indegna un’occasione benché non se la meriti. Sulle prime non mi sorprese molto. Un viso anonimo, non brutto ma neppure bello, un viso che passa inosservato. I capelli castani erano mossi e le arrivavano alle spalle, il look era curato ma abbastanza provinciale. Di sicuro non apparteneva al mio status sociale. Pazienza, le avrei fatto conoscere un pezzetto di paradiso prima di scaricarla nella fogna dalla quale proviene. E prima di allora le avrei chiesto di umiliarsi in ogni maniera umanamente sopportabile e forse anche qualcosa di più. E’ quello che faccio con tutte.

“Ciao”- le dissi

“Ciao”

“Così saresti tu quella che ha goduto come una troia in calore?” le chiesi guardandola dritta negli occhi. Perché sapete, dagli occhi si capisce l’intimo di una persona, spesso rivelano più i loro movimenti, le loro incertezze, i loro ammiccamenti, che le parole di chi li possiede. Quelli della serva senza nome oscillarono, si abbassarono al mio inguine. Tranquilla, baby, presto avrai modo di conoscere il mio amico che lì si nasconde. Comunque, dov’era la sfacciataggine con la quale ti sei presentata la prima volta? Puttanella. Non riesci neppure a sostenere il mio sguardo.

“Si…sono io. Mi chiamo…”

Non la lasciai finire

“Zitta. Tu hai già un nome. Scovolino”

“Cosa?”

“Niente storie! Ha un bel suono. Mi piace. E tu dovresti solo essermi grata dell’onore che ti concedo. Stasera avrai l’onore di prendermelo in bocca” le sussurrai all’orecchio “Te lo farò uscire anche dagli occhi. E se non sarai delicata come vorrò io, se non riuscirai a soddisfarmi come merito ti costringerò a leccarmi il culo”

Rimase immobile, non so se semplicemente stupita o proprio inorridita davanti alla prospettiva di dover leccare il mio sedere. Non sarebbe stata la prima volta che ordinavo ad una ragazza di farmi un servizio del genere. Per lei doveva essere invece una novità

La portai alla macchina, la BMW di cui sopra. Scovolino (o Scovolina, in fondo è pur sempre una ragazza) la divorò con gli occhi. Aveva mai poggiato le chiappe sul sedile di una macchina così bella, mi chiesi.

Certamente no! Chissà con cosa andava in giro lei. Forse con la bicicletta, o magari con i sudici mezzi pubblici. E a pensarci bene, perché mai concederle l’onore di salire in macchina con me?

“Tu andrai dietro” disposi

“Dietro dove?”

“In bauliera”

“In bauliera?”

“In bauliera, si, perché? Disobbedisci di gia?”

“No…no, certo. Però io…”

La presi per i capelli e le torsi il collo costringendola a guardarmi. Nel parcheggio della stazione non c’era nessuno ad osservarmi. E’ ovvio, il mio lato oscuro deve restare nascosto.

“Sali” dissi, aprendo l’angusto vano della bauliera ed indicando col dito il posto dove sarebbe dovuta andare ad accovacciasi l’inferiore.

Scovolina annuì rassegnata. Cosa pensava in quel frangente proprio non lo immagino. Forse aveva appena realizzato che le cose le stavano sfuggendo di mano. Si sarebbe ribellata? Non lo sapevo. Decisi comunque di andare fino in fondo. La portai a casa mia, la feci scendere e la feci camminare in ginocchio rigorosamente dietro di me fino al mio studio.

“Qui è dove lavoro, schiava. Quelli sullo scaffale proprio dietro la scrivania sono i miei libri. Non badare ai nomi, sono tutti pseudonimi”

Scovolina lesse alcuni titoli.

“Quello l’ hai scritto tu? Sei l’autore di ‘X’ XXXXXX’?!” esclamò.

“Certo” risposi “Sono uno dei tanti uomini ombra che lavora al coperto di un nome falso ed il mio lavoro è scrivere”

Era rimasta stupita, la capivo.

“Come vedi alcuni dei miei libri sono dei bei tomi. Sai quanto mi è occorso scriverli, rileggerli da principio e correggerli riga per riga? Non puoi sapere. Hai detto che vorresti leccarmi e soddisfarmi mentre lavoro, giusto? E’ un pensiero carino da parte tua, cara cagnetta in calore, ma sarai disposta a portare fino in fondo i tuoi propositi?”

“Si!” sbottò lei. Era fatta. La rivelazione di chi ero, la mia bella macchina, la casa ben arredata, il lusso del quale mi ero circondato e l’eleganza delle cose con le quali convivevo. La schiava aveva trovato quel che cercava. Ovviamente l’aveva trovato solo per metà. Che cosa cercava? L’ ho già detto, no? Un padrone col quale soddisfare i propri pruriti da porca sottomessa di quarta categoria e un portafoglio bello gonfio. Come tutte le ragazze del ventesimo secolo. Puttana.

Ma scoprirà presto che i suoi desideri si realizzeranno solo fino a metà. L’uccello in bocca lo prenderà, come no. Glielo farò conoscere intimamente, fra un paio di settimane ne saprà di più lei di un esperto in ornitologia. Quanto al resto, beh, non sono un tipo così facile Finché sarò solo io a prendere ciò che mi serve da lei il nostro rapporto di dominazione- sottomissione andrà avanti, quando ciò non sarà più zack, un bel taglio netto e via. La riporto dove l’ ho trovata e la saluto. Anzi no, la lascio direttamente sulla strada come si fa con gli animaletti fastidiosi. Non che io abbandonerei mai un cane per la via, sia chiaro. Sono contrario al far del male ad un animale. Ma questa cagna….via! E’ solo una porcella avida di cazzo.

Magari qualche camionista compiacente la caricherà per scoparsela lungo il viaggio. Le pagherà il passaggio con un pompino ben fatto.

Così comincio la terapia di Scovolina, la faccio gattonare fin sotto la scrivania e mi siedo sulla sedia.

Sbottono la patta dei pantaloni e tiro fuori il mio fortunato, virile compagno di tante avventure. E’ in forze, quest’oggi. Lei è lì, accucciata ai miei piedi che mi guarda con aria supplicante dal basso verso l’alto. Così come dovrebbe essere. Così com’è nell’ordine naturale delle cose.

“Ora io lavoro, tu me lo prendi in bocca e mi lecchi e mi baci”

Non aggiungo altro. Sollevo le gambe e gliele poso sulla schiena in modo da far combaciare l’incavo delle ginocchia sulle sue spalle. Con una mano le prendo la testa e gliela spingo per la nuca in direzione dell’oggetto dei suoi desideri.

Lei geme, il peso delle mie gambe la sta mettendo a dura prova. Con un sospiro sfiora la punta della cappella (del glande, anzi, senti che terminologia scelta…), lo accarezza con le labbra sottili e lo bacia.

Io accendo il computer e mi preparo a scrivere un pezzo del mio attuale romanzo. Vi domanderete come faccio a scrivere mentre una giovane ragazza appena conosciuta se ne sta accoccolata sotto di me a succhiarmi il cazzo ed io rispondo ci sono abituato. Non è la prima volta, questa.

Anche la mia attuale ragazza le usa durante il lavoro (non tutte le ragazze le tratto come serve, quelle più carine e carismatiche le tratto da pari, finché non mi annoiano ed allora scarico anche loro….). Lei si fa leccare il culo ed i piedi mentre ascolta della musica o guarda un film. Fa la critica dello spettacolo. E’ anche comparsa qualche volta in una di queste TV locali. Non è troppo conosciuta ma è carina.

Io le definisco “soggetti commestibili” o “materassabili”. Forse sono un tantino cinico.

Ma la mia attenzione cade subito dopo sulla bocca che sta lavorando per me da sotto al tavolo. Mi accorgo che questa volta c’è qualcosa di diverso rispetto al solito. Mi aspettavo una comune schiava succhiapisello ed invece mi accorgo di aver trovato qualcosa di diverso. Mentre le mie dita sfiorano i tasti del computer Scovolina incrementa l’andirivieni col quale sta massaggiando il mio uccello. Ci sa fare. Ci sa fare sul serio. Un vero talento. Non ha molta tecnica, è vero. Non la tecnica di una professionista, a volte le sue labbra mi sfiorano appena altre volte stringono troppo, tuttavia ha impeto e passione. Affonda ogni volta la bocca fin a toccare con le labbra le mie palle, prende in bocca tutta l’asta e poi ridiscende. Sa il cielo come faccia. Con i miei diciotto centimetri e passa la punta dovrebbe arrivarle fin dentro il cervello. In effetti sento la cappella che affonda, ogni volta che la sua faccia scende alle palle, in qualcosa di morbido e tiepido. Non è la ruvida volta del palato, questa. Si sta autotrafiggendo la gola col mio arnese. Una puttana, come ho poc’anzi affermato, ma una puttana che sa darsi. Ma questa volta la troiaccia ha trovato pane per i suoi denti, pardon, carne per le sue labbra. Lascio la tastiera, la bocca di questa piccola baldracca ai miei piedi è riuscita a farmi dimenticare i pensieri che avevo intenzione di mettere su carta per il mio libro. I personaggi del romanzo sono ormai lontani. Non sento più il suono della trama, l’odore degli ambienti che ho creato. Sporca mignatta, non sono molte le puttane che possono vantarsi di avermi fatto deconcentrare così tanto da un mio romanzo, sai? Questa è probabilmente la più grande impresa che tu abbia mai compiuto in tutta la tua inutile esistenza.

Mi rilasso, le mie gambe diventano ancor più pesanti sulle sue scarne spalle. Me ne infischio se le faccio del male. E’ a questo che serve una schiava. Quando sento che sto per venire le prendo la testa e la schiaccio contro il mio inguine. L’uccello le affonda fin in gola, voglio sborrarle direttamente nell’esofago. Senza che possa respirare, lamentarsi, sottrarsi alla mia stretta. Vengo con la furia di un ciclone, la inondo fin nelle viscere, la riempio.

Lei se ne sta buona buona, vedo le lacrime che scendono lungo le sue guance.

“Ingoia”ordino. Non ve ne è bisogno, tutto il seme prodotto le è già arrivato nel sistema digerente. Sono una furia.

Me la stacco dal cazzo, letteralmente, e con i suoi capelli da schiava inferiore mi pulisco l’asta, badando bene a rimuovere la saliva anche dalle palle.

Lei è disfatta, la faccia paonazza, gli occhi gonfi, i capelli in disordine, pieni di saliva e del mio prezioso seme.

La lascio e Scovolina crolla.

Ai miei piedi.

“Già stanca?” domando con tono sarcastico.

Nessuna risposta. Solo un gemito. Di dolore. Di vergogna. Si vergogna, la cagna, ad essere trattata da puttana quale è. Chissà per quale motivo. Ah, le ragazze! Che mistero!

Mi tolgo le scarpe e le appoggio i piedi uno sulla testa e uno sul collo.

“Ripigliati, vai! Fra un po’ si riparte” dico, e mentre il mio sesso insaziabile guarda dall’alto la nullità che fra pochi minuti tornerà a soddisfarlo Scovolina piange e mi fa da poggiapiedi.

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