A scuola da puttana - 2

Scritto da , il 2021-08-14, genere trans

- secondo capitolo -

Flavia sul lavoro metteva ansia. Mai visto una più agitata!
Gestiva le telefonate, rassettava, puliva, si pettinava, mi dava consigli, mi assaliva per sapere come mi era andata, divideva e nascondeva i soldi sempre con l'affanno, ma quando suonavano si rilassava di colpo: si guardava allo specchio, mi chiedeva con gli occhi come stava in top e shorts (io non sapevo che guardare, se le tette o il pacco enorme di quella monella deliziosa) e mi baciava fermando il tempo, con la sensualità di un'amante che ha tutta l'eternità solo per te. Quindi si voltava per ricontrollare il rossetto, mi spediva un altro bacetto facendomi l'occhiolino ed andava ad aprire a quello che me l'avrebbe baciata, palpata, succhiata e scopata in culo. E a me stava benissimo!
Avevo però un pelo di gelosia solo per quelli, e non erano pochi, che riuscivano a farsi montare dalla mia gazzella con fianchi da paura e cazzone da incubo; non so, il fatto che le si rizzasse per un altro era diverso, mi metteva di malumore.
Se non stavo lavorando anch'io, ascoltavo dal mio letto con la testa appoggiata alla parete. Era bellissimo sentire le sue risate e come fingeva gli orgasmi. Molti godevano ad insultarla con tutta la sua famiglia e a dirle le oscenità che si merita solo una puttana; godevano sentirla gemere, chiedere di sbatterla più forte, di spaccarle il culetto... volevano che implorasse il loro cazzo e che si quietasse ciucciandoglielo. Godevano così, ed io con loro.
E lei ne usciva fuori bella come una verginella preoccupata del vestitino sgualcito, ma seminuda e col cazzo ammosciato, e si proiettava subito sotto la doccia. Sempre col cellulare a portata di mano per non perdersi le chiamate.
E ricominciava l'ansia!
A volte mi trattava da merda ed era capace di urlarmi le peggiori parole in portoghese se non ero riuscito di spillare qualche euro in più; i soldi erano il suo unico cruccio. Ma poi si pentiva e mi si strusciava addosso seminuda: “Scusami cucciolo, lo sai, m'incazzo se dai via il tuo culetto per così poco.” e non mi lasciava rispondere, bloccando con un bacio ogni mia possibile replica.

Era la Flavia che adoravo: m'afferrava per il ciuffo e mi trascinava sotto la doccia. Mi doveva lavare lei: gettava a terra i miei calzoncini da lavoro ed apriva il getto già con la spugna in mano. Per ultimo mi voltava e mi ficcava dentro due dita insaponate. Io ero immobilizzato dal terrore con le mani appoggiate alle piastrelle: quelle unghie erano rasoi, ma mai una volta che m'abbia ferito. A volte si divertiva a farmele sentire prima artigliandomi i coglioni e mi s'annebbiava la vista dal desiderio.
Mi faceva impazzire, l'adoravo. Se mi diventava duro o tentavo di palparle il culetto, mi spingeva contro il muro con tutto il peso schiacciandomi con le tette e aggrappata al mio collo mi tirava una ginocchiata ai coglioni. Era maestra a spappolare le palle e da vera sadica ci provava un perverso gusto: calibrava alla perfezione la forza, mai un colpo troppo forte o troppo leggero, centrava i coglioni fissandomi negli occhi, mai un colpo a vuoto, e m'avvisava sempre delle ginocchiata in partenza, per annusare la mia paura.
La prima volta fu per me un mondo nuovo.

L'avevo abbrancata di sorpresa in corridoio e bloccata in un abbraccio da dietro senza alcuna mira, solo per gioco. Ma il cazzo mi si rizzò all'istante scivolando in quella piega perfetta che divide le natiche della mia femmina.
Flavia mi si rivoltò nell'abbraccio spingendomi contro il muro.
“Cucciolo mio, tu devi imparare a controllare il tuo cazzotto.” Prima un bacio e poi una ginocchiata che mi fece trasalire.
“Ti serve!, col cazzo tu ci lavori.” Il bacio fu veloce come l'ombra di una rondine e la ginocchiata devastante come una cannonata di Lukaku nei coglioni. Mi fischiarono le orecchie.
“Sai cosa ti faccio la prossima volta?” Il lunghissimo bacio in apnea vi levò respiro terrorizzandomi; m'avrebbe mandato le palle in gola! Invece me le urtò appena. Sentii solo i coglioni dondolare e sollevarsi d'un poco ed il cervello esplodere di felicità per lo scampato pericolo. Ma subito dopo il languore di non essere stato pestato.
Sempre incollata a me, i seni schiacciati e l'alito che mi sfiorava il viso, mi prese le palle e me le snocciolò in mano facendomi sentire le unghie: “Non scherzo, sta' buonino, fallo anche per me. Quando lavoriamo non puoi, lo sai, il mio culetto è per chi paga... e non devi farmi venire voglia, cucciolo mio, cosa credi?, anch'io vorrei mettermi a novanta o ciucciartelo, ma poi ti secco questi coglioni...” La stretta mi mandò il cuore in gola. Me le strizzò con l'amore d'una sadica, le labbra incollate alle mie per succhiare il mio dolore e la mia paura.
Dopo ogni bacio la stretta aumentava d'uno scatto, facendomi contrarre tutto, ma io avevo bisogno della sua saliva e resistevo. E la sua lingua dovevo pagarla con una strizzata più forte. Sudavo ghiaccio, ma resistevo. Me le torse per farmi smettere, ma io la baciai ancora, coi denti che non riuscivo ad aprire.
Tirò un sospirone di sollievo quando implorai di smettere: se mi si fossero staccate e cadute a terra sarebbe stata solo colpa mia.
Me le massaggiò delicatamente con la mano a coppa e mi scivolò addossò per leccarmele e succhiarmele da sotto. Sadica come nessun'altra me le grattò con le unghie taglienti e mi fece sentire i denti. Ero in trance: una cagna accoccolata ai miei piedi aveva i miei coglioni tra i denti.
Sorrise dolcissima e mi si arrampicò nuovamente addosso, spingendomi contro il muro.
“Mi spiace, cucciolo mio, sei un amore, ma adesso non possiamo far l'amore... Sono stata troppo cattiva con te?, vuoi un regalo?, lo meriti sai?, tu sei stato bravissimo ed io cattiva, sei il mio amore.” Disse mischiando parole italiane e portoghesi. Io mi persi come al solito al suono della sua voce: inspiravo il suo profumo, ascoltavo il suo respiro che le comprimeva i seni contro il mio torace e mi chiedevo come avevo fatto ad incontrare degli occhi tanto dolci.
Allungai le labbra ed ottenni un bacio che valeva un'intera scopata; l'avrei scopata con la lingua ed ingravidata con la mia saliva. Non le chiesi di sposarmi e darmi un bimbo solo perché non potevo parlare.
Alla fine si staccò osservandomi nell'anima; era strafelice di me e mi spennellò via il sudore da viso e collo, leccando come una cagna la sua ciotola vuota. Ma all'improvviso mi spinse indietro la testa facendomela battere contro la parete: “Sei un amore cucciolo mio. Vuoi succarmelo? Allora in ginocchio!”
Non capii subito e quando realizzai cosa intendeva, mi beccai una botta bastardissima. Flavia si levò ed io scivolai a terra sulle ginocchia con le palle in mano e la guancia spalmata sul pavimento freddo. Mi battevano le orecchie. Ma questa è stronza, mi vuole uccidere!
Sollevai lo sguardo. Era sopra la mia testa con un salame di tre chili che le pendeva stanco dalle palle gonfie. Mi raddrizzai un poco coi coglioni che mi tiravano le gambe; dovetti aggrapparmi alle sue, poggiare le mani sotto i glutei, sulle sue cosce troppo belle e lisce per essere strette. Ed inarcai indietro la testa; il più possibile, col collo che mi tirava i coglioni doloranti.
Lentamente mi calò la cappella in bocca, dapprima sulla lingua, poi giù per la gola. Io allargai da slogarmi la mascella, avevo terrore di ferirla coi denti, e nemmeno avevo coraggio di toccare con le mani quel cazzo addormentato che mi stava offrendo. Ce l'aveva ancora semirigido, quieto come un prodigio della natura che si risveglia. E porca puttana io riuscii ad inghiottirlo tutto, fino alle palle che mi si deposero sul mento.
Flavia mi strinse la testa eccitata: lo sentii irrigidirsi, allungarsi ed allargarsi in gola fino a bloccarmi il respiro. Cercai di rimanere calmo, Flavia mi massaggiava le tempie. Gli occhi si gonfiarono di lacrime che mi rigavano le guance e sgocciolavano sulle spalle tremanti. Ero felice, piangevo nell'anima: osservavo attraverso il velo d'acqua il viso del mio amore, irraggiungibile come una moneta luccicante sul fondo della fontana.
Poi trillò il mio telefono.

Uno, due, tre squilli e Flavia si lanciò a vedere vomitandosi fuori. Merda! M'incazzai anche per le fitte ai coglioni mentre mi rialzavo. Mi rimisi i calzoncini da lavoro ed andai a vedere. “Richiamerà.” dissi sputando mezzo litro.
Flavia mi lanciò un'occhiataccia e richiamò. “Non puoi, non fare la scema... e poi oggi sarebbe già il quarto!” Attese il primo squillo e riattaccò: “Adesso richiama di sicuro.”
“E io non gli rispondo! Dai, sono già le otto, fammi respirare un po'!!! dobbiamo anche cenare.”
“Ti adoro quando sei incazzato. Domani stacchiamo i telefoni ed andiamo a mangiare fuori. E poi seratina de fuego!” Mi passò il cellulare che suonava.
“Sì, scusa non ho fatto in tempo... certo, sono foto mie, vedrai coi tuoi occhi, amico (non chiamo mai nessuno amore o tesoro!)... Alle nove va benissimo... Per un'ora chiedo ***... Certo, anche baci con la lingua, come una gattina, tranqui lo puoi succhiare, ti asp...” Flavia mi tirò una gomitata. “... però se vuoi divertirti davvero, amico, possiamo esagerare un po', ci si mette d'accordo... No, non preoccuparti, non mi scandalizzo, dimmi cosa ti piacerebbe... Okay, no problem, ti faccio sborrare tutte le volte che riesci, ma per il resto non so... Sì sì potrei anche, ma non ti conosco...”
Flavia m'urlò muta: “Cazzo vuole fare?”
Incrociai le mani a manetta per dirle che lo stronzo mi voleva scopare da legato. Flavia mi palpò il culo, premendo bene sotto le chiappe. “Ho tutto!, chiedi ***!” Sussurrò eccitata dai soldi.
“... Okay, senti per me sta bene, mi fido di te, mi puoi legare al letto, ma sono ***... No no, amico, non è troppo, fidati, non mi dimenticherai... Okay, ti aspetto alle nove... Ahaha, ma fa' piano, oggi non m'ha trombato nessuno, è tutto per te, me lo rompi tu.”
Flavia mi spinse il pugno contro l'ano e mi baciò raggiante: “Andiamo!, devi mangiare!”

Avevo fatto io gli spaghetti. Alla terza forchettata suonarono e bussarono alla porta. Flavia schizzò in piedi, rovesciò il suo piatto nell'umido e lo ficcò in un armadietto insieme a posate, bicchiere e tovaglietta. “Non devono trovarti qui!” Sussurrò spaventata. “Nasconditi lì e non uscire. Giuramelo!”
Mi spinse in una specie di ripostiglio di fianco al frigo, chiuso da una tenda. “Non muoverti o mi metti nei casini! Sta' tranquillo.” Mi diede un bacetto nervoso. “Ti prego, fallo per me, non farti trovare.”
Fu il sogno peggiore della mia vita.
Da dietro la tenda li sentii entrare, erano in due. Pareva che ispezionassero la casa. Entrarono anche nella mia stanza. “Allora è vero che hai un'amica! Dov'è?” “Non c'è, stasera lavora fuori?” “Sicura? Lo sai che non ci va d'essere presi per il culo da una troia.”
Attraverso uno spiraglio li scorsi entrare in cucina e controllare i piatti. Dietro loro Flavia che nascondeva la paura; pareva più minuta, in pericolo come una gazzella fra i leoni. Uno spazzò con la mano il tavolino, depose il cinturone sulla sedia e, senza nemmeno voltarsi, le poggiò la mano dietro al collo e se la tirò verso il tavolino: la piegò a novanta, le abbassò gli shorts e ci affondò il cazzo in culo. “E questa tua nuova amica è almeno figa?”
“Sì... è giovane.”
Lo stronzo non disse altro. Se la sbatté come un materasso e sborrò con l'eccitazione di chi sta pisciando. Lasciò il culo al collega, più giovane e con l'entusiasmo d'uno stupratore, e tornò ciarliero. Raccontava che per un solo cazzo di numero non aveva fatto cinque al superenalotto, che la figlia all'università aveva la media del ventisette, ma che il figlio al liceo era una zappa e che tra dieci giorni avrebbe portato tutti all'Elba. Questo mentre il suo collega picconava il culo di Flavia con affondi che le arrivavano in gola. Aveva pazienza il bastardo: attese la sborrata liberatoria per avvisare che giovedì avevano il pomeriggio libero e che sarebbero tornati con due amici.
Le carezzò la testa. Flavia boccheggiava sul tavolo. “Non fare la scema, lo so che non vedi l'ora d'essere scopata in culo due cazzi per volta, ma avrai bisogno d'un aiuto... Devi farci trovare anche la tua nuova amica.“ Le tirò i capelli. “Sentito???”
“Sì sì glielo dirò.”
Lo stronzo rise: “Brava! Noi però adesso non possiamo fermarci di più.” Si riallacciarono pantaloni e cinturoni. “Ora puoi venire fuori. Fatti vedere.”
Mi sentii mancare, sapevano ch'ero dietro la tenda. Uscii.
“Ah, un frocetto!” Li avevo attorno. “Niente male però! Forse avrei preferito incularmi questo.” Una mano mi saggiò il culo. “Fatti trovare, voglio vederti col cazzo di Flavia in culo.” Il più giovane gli tastò anche il pacco “Ehi, 'sto ricchione si fotte la trans!” Lo stronzo rise, e col tono di chi non sa un cazzo ma lo vuole insegnare: “Probabile, il culetto di Flavia lo rizzerebbe anche ad un morto. Ma giovedì dovrà accontentarsi dei nostri, perché il frocio sarà già occupato: Mirko dà fuori per i frocetti e si consumerà il cazzo in 'sto culo!” Spinse due dita.
Uscirono sghignazzando. “... e se gliela facciamo inculare mentre Mirko se la tromba?” “Tu ci pensi troppo, ti tiri seghe.”
L'abbracciai tutta, era ancora a novanta sul tavolino. Tremava calda, morbida come dopo aver fatto l'amore. Non l'avevo mai vista così bella. La carezzai come una micetta malata e la penetrai delicatamente, carezzandole le chiappe. “Ti amo”, mi disse, ”è stato bellissimo” ringraziai.

Ero stato fortunato. Il mio cliente delle nove era un trentacinquenne col fisico scolpito in palestra e il segno della fede all'anulare. Lo baciai già sulla porta, non era un fumatore, bene!, e lo precedetti nel corridoio tenendo una mano indietro, sul suo pacco. In camera mi piantò subito il pacco contro il culo aggrappandosi al mio: io mi rigirai come fa Flavia e mi strusciai addosso baciandolo sotto il mento e mordicchiandogli le labbra.
Lo sentii fremere. “Ma che bella puttanella sei!” Spinse un dito mentre strizzava le chiappe.
Gemetti senza fingere troppo. Gli carezzai l'erezione sotto i pantaloni ed allungai il collo per alitargli in bocca: “Ce l'hai grosso, mi farai male.”
Quasi pianse per la soddisfazione. M'afferrò per la testa, come per farmi lo shampo ai capelli bagnati, e mi rovistò in bocca con una bistecca. Forse credeva che fossi la sua ragazza, o la mogliettina a casa. Si staccò imbarazzato: “Sei tutto bagnato.”
“Ho appena fatto la doccia... allora facciamo ***?”
“Okay, ma tu ti fai legare veramente?”
Gli mostrai le cinghie ai quattro angoli del letto ed i cinturini a polsi e caviglie. Nascosi subito i soldi, Flavia m'avrebbe ucciso se non lo facevo.
Non servì fare la gattina per spogliarlo, era un maschio alfa in pressione: m'abbrancò a cazzo e culo e mi buttò sul letto. Merda ero già legato, feci solo in tempo d'indicargli i preservativi sulla cassettiera. Venti secondi e mi calò in culo un signor cazzo spinto da ottantacinque chili. “T'avverto però, io col preservativo non vengo mai.”
Non ci credevo, non poteva essere vero: una punizione troppo perfetta per quella serata. Il bastardo aveva la forza d'un wrestler e la resistenza di un maratoneta. Lasciai che mi legasse in tutte le posizioni, anche incaprettato e con le gambe aperte in spaccata. Mi scopava, baciava e sborrava in bocca e spompinava anche, ma con un dildo che mi vibrava in culo. Stufo delle corde m'annodò le braccia alle gambe e mi squassò in un infinito giro di affondi, trombate e stupri da carcere.
Ma era colpa mia. È sempre colpa della puttana. Manco più piaceva a lui: mi trivellava a cazzo asciutto per rifarsi della spesa.
La camera era illuminata dalla debole lampada rossa. Il corridoio era al buio. Dietro la porta socchiusa Flavia mi stava osservando.

M'accudì lei, in doccia. Non una parola, solo carezze d'amore per riappropriarsi del mio corpo. Io non la sfiorai nemmeno, guardavo le piastrelle, non ero degno di quella femmina.
Mi voltò e carezzò sotto il mento col braccio teso. I suoi occhi nei miei. Li abbassai e fissai sotto il brillantino all'ombelico: con l'altra mano reggeva il pene pesante, arcuato sulle dita sottili. Era carnoso, scuro sotto il ventre ambrato, imbarazzante fra le cosce snelle.
Ne uscì un fiotto caldo che mi sciolse d'amore.
M'inginocchiai sotto la mia padrona.

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