Rapito e schiavizzato - Capitolo 1

Scritto da , il 2021-06-04, genere gay

Un’altra lunga notte è appena iniziata. Non so neanche quante ne abbia trascorse di notti così, ormai. So solo che è da parecchio tempo che dura la mia cattività. E Dio solo sa se mai questa avrà fine, un giorno. Posso solo aspettare. Subire, accettare questa strana vita e pazientare. Forse poi tentare una fuga, chissà, sperando in un momento di distrazione da parte del mio aguzzino per cogliere l’attimo e scappare via. Ma se un giorno riuscirò a svignarmela, la troverò la strada? Quell’uomo è stato molto chiaro sin dall’inizio al riguardo: sono prigioniero in un posto molto lontano da casa, e ogni giorno con i miei stessi occhi vedo solo montagne e distese verdi intorno a noi. Chissà dove sarò. Chissà se i miei cari ancóra mi staranno cercando. Chissà cosa mi aspetta ancóra in questo posto, con quest’uomo. Avrà mai pietà di me?
Tutto sembrava andare per il meglio nella mia vita: italiano e ventitreenne, abitavo ormai quasi da un anno a Boston, avevo trovato la mia stabilità, con un buon lavoro, buoni amici connazionali, ed ero anche in procinto di mettermi con una ragazza stupenda. In Italia avevo lasciato una bellissima famiglia. Sono sempre stato un bel ragazzo, mi hanno spesso domandato se facevo il modello talmente avevo un bel corpo e un bel volto, tutti hanno sempre avuto piacere di conoscermi e frequentarmi, ma nonostante questo mi sono sempre comportato in modo più che umile e cordiale con tutti, al di fuori di quei momenti negativi che tutti abbiamo prima o poi.
E poi, una sera, mentre verso mezzanotte tornavo a casa, in un quartiere della città in cui la sera non c’era praticamente mai anima viva, fui sorpreso da un furgoncino che si fermò proprio accanto a me. Io, che avevo le cuffie alle orecchie e guardavo il cellulare, non mi resi quasi conto che due uomini col passamontagna ne scesero per afferrarmi e caricarmi su. La portiera scorrevole si richiuse sùbito, e in men che non si dica, nella penombra del retro del veicolo, una mano premette un tessuto dall’odore strano sulla mia bocca e, nei pochi secondi che mi ci vollero per perdere conoscenza, sentii che qualcuno incominciava a svestirmi.
Non so dopo quanto tempo mi risvegliai. Quando riaprii gli occhi, tutto era nero intorno a me e non udivo alcun rumore. Molto probabilmente, pensai, avevo gli occhi bendati e anche qualcosa sulle orecchie. Poi, poco a poco, realizzai di essere in piedi, con le mani legate dietro alla schiena e le gambe legate una all’altra, con qualcosa che mi stringeva il collo, e sicuramente quel qualcosa era connesso ad un cavo – o una catena? – sul soffitto che mi costringeva a stare in piedi. E poi mi resi anche conto di essere nudo, forse su tutto il corpo.
Dopo un tempo che a me parve infinito e in cui cercai in tutti i modi di liberarmi e spostarmi dal punto in cui mi trovavo – e in cui, volendo urlare, mi resi anche conto che un oggetto molto ingombrante impediva alla mia bocca di chiudersi e alla mia lingua di muoversi – udii finalmente, come in lontananza, una porta abbastanza spessa aprirsi e richiudersi, poi udii vagamente dei passi verso di me, e infine sentii rimuovere ciò che mi tappava le orecchie.
- Buongiorno, Federico, hai dormito tanto stanotte - mi disse una voce maschile, che sin da sùbito mi sembrò stranamente familiare.
Oltretutto, capii che colui mi parlava era italiano al cento per cento, proprio come me.
Provai immediatamente a parlare, avevo in qualche modo scordato che non ne ero capace.
- Non agitarti, non puoi fare niente, non puoi scappare, puoi solo ascoltare. Ascoltare me e adattarti. E tutto andrà per il meglio per te. Intesi?
Ovviamente non mi calmai, anzi mi innervosii di più, volevo sapere chi fosse quest’uomo e perché mi stesse facendo questo.
- Stai tranquillo, come vedi non mi puoi fare domande, ma le risposte arriveranno poco a poco.
Lui, a differenza di me, era calmissimo, sereno, rilassato, chiaramente sapeva che nessuno poteva sentirmi mugugnare e sapeva che era lui a controllare la situazione.
- Sai, era da un bel po’ che ti osservavo, e non da molto lontano. Mi sei piaciuto sùbito. Sono venuto spesso a contemplarti e a studiarti, sei diventato come un’ossessione per me. Un bel ragazzo dai capelli neri, circa un metro e novanta, con un bel corpo ben proporzionato, né palestrato né magro, proprio un aspirante modello. Mi ci è voluto poco per decidere che saresti stato il mio primo schiavo.
Sentii dei brividi percorrermi la schiena udendo quelle parole. Che cazzo intendeva dire? In che senso il suo schiavo? Cercai nuovamente di parlare, protestare, gridare, ma niente da fare, finché non mi avrebbe levato quella roba dalla bocca, mi sarebbe stato impossibile esprimermi.
- Te l’ho già detto, rilàssati, le corde e le catene che ti legano sono state collaudate apposta per impedirti di liberarti. Ora l’unica cosa che puoi fare è inspirare ed espirare profondamente per calmarti e accettare che ormai sei mio. Un bellissimo schiavo da ammaestrare, un magnifico esemplare da addestrare.
Fui preso ancóra di più da un misto di paura, rabbia e disgusto. Chiunque fosse quell’uomo, come si permetteva di considerarmi il suo schiavo e addirittura un esemplare? E poi un esemplare di cosa? Di un animale? Ero indignato, indignatissimo, e dentro di me pregavo che tutto questo fosse solo uno stupido incubo. Quando avevo lasciato l’Italia mesi prima, ovviamente tutti i miei familiari mi avevano messo in guardia come si deve contro i pazzi che ci sono in giro per il mondo, non si sa mai chi si può incontrare sul proprio cammino, e ora mi chiedevo con ansia cosa quell’uomo volesse davvero da me e di che cosa fosse capace per raggiungere i suoi obiettivi. Cominciai perfino, benché non fossi mai stato un fervente cattolico, a pregare il cielo di lasciarmi rivedere la mia famiglia almeno una volta nella vita, mi sentivo così fragile e impotente.
- Sì, Federico. Per ora ti chiamerò ancóra con il tuo nome d’origine, ma presto anche quello cambierà, cambierà parallelamente alla tua vita. Sei la mia proprietà, oramai, ho pagato un prezzo altissimo per farti rapire da dei professionisti che del tuo rapimento non hanno lasciato nessunissima traccia. Nessuno sa dove ti abbiano portato, né dove io ti abbia poi recuperato e trasportato. Perché, a proposito, devi sapere che siamo lontani dalla tua città, e lontanissimi dalla civiltà. Hai presente gli Stati Uniti, questo vasto paese che siete così tanti giovani a voler venire a visitare? Ebbene, la loro superficie è molto estesa e molte zone sono ancóra del tutto inabitate. Incolte. Selvatiche. Deserte. Tu per ora resterai qui, questa stanza sotterranea sarà per il momento la tua casa, non vedrai la luce del sole per un po’ di tempo, fin quando io non avrò deciso che sarà ora di farti uscire; questa stanza è completamente isolata dal resto del podere: è collocata sotto la mia casa, e chiunque si avventuri da queste parti non potrà mai trovare questa stanza senza essere stato informato della sua esistenza, e tutti i muri che ti circondano contengono diversi tipi di materiali isolanti, quindi quando libererò finalmente la tua bocca da quel morso, non ti aspettare che qualcuno possa sentire le tue grida, solo io potrò godere della tua voce e dilettarmi della tua disperazione.
Più quell’uomo parlava, più ero in preda all’ansia, ero già disperato, avevo una paura tremenda, speravo che stessi davvero sognando e che, se così non fosse stato, tutto sarebbe almeno finito molto presto, anche se avevo già la convinzione che purtroppo quest’uomo aveva tutte le carte giuste in questo gioco. Ad un certo punto deglutii e mi sentii le lacrime agli occhi. D’altra parte, non solo ero orripilato dalle parole che ascoltavo, pronunciate oltretutto con una calma spaventosa, ma non vedevo nulla, tutto era buio intorno a me, sentivo il bisogno di vedere il mio rapitore in faccia, di vedere quella cazzo di stanza che mi circondava, e di sapere cosa volesse esattamente da me quel pazzo che sembrava così sicuro di sé e dei propri progetti.
- Bene, Federico, in questa bella nottata di sonno che ti sei fatto, ne ho già approfittato per scoprire il tuo magnifico corpo: hai una bellissima pelle, molto chiara ma non pallida e soprattutto morbida; hai anche dei bei capelli, in buona salute, che riflettono bene la luce; questo bel visetto da bravo ragazzo e carino allo stesso tempo; i tuoi capezzoli sono stupendi; qualche muscoletto qua e là, fra braccia, gambe e addominali; e poi, un bel culetto da accarezzare e un bel cazzo di buona misura, con delle belle palle pendenti. Ho trascorso delle ore piacevolissime a contemplarti e a carezzarti.
Eccellente, come se il resto non fosse bastato, adesso mi saliva pure il disgusto. E un nuovo livello di orrore: se il mio corpo gli piaceva così tanto, allora aveva sicuramente in mente di abusare di me prima o poi, no?
- Quindi il mio schiavo l’ho già esaminato per bene, ho preso anche bene le tue misure per prepararmi alla decisione finale, ovvero il ruolo che avrai nella tua nuova vita, il tipo di schiavo che tu sarai per me. Ecco, il mio progetto, il mio sogno di una vita, questo sogno che grazie ad un’inaspettatissima vincita alla lotteria inizio finalmente a realizzare, è quello di avere una mia slave farm.
Non potei trattenere il panico: una slave farm? Che cazzo era, una sorta di fattoria degli schiavi? Quante cose orrende doveva ancóra annunciarmi quel figlio di puttana? Si era davvero completamente bevuto il cervello? Non solo mi aveva rapito, ma voleva anche fare di me il suo schiavo, e magari pure sessuale, e credeva che io mi sarei piegato alla sua volontà?
- Capisco la tua perplessità. In italiano si potrebbe dire una «fattoria di schiavi». Vedi, Federico - mi disse carezzandomi la guancia, il che mi fece di nuovo rabbrividire - Con i milioni che ho vinto alla lotteria ho comprato il grande terreno che si estende proprio qua sopra di noi, l’ho trasformato in un grande podere recintato e vi ho fatto costruire la mia casa – che, vedrai, è alquanto caruccia – e una scuderia, nella quale vivrai tu. E vivrai lì dentro perché stanotte ho deciso che tu sarai il mio primo pony boy, il mio cavallino umano.
Mi dimenai ancóra più forte di prima, e pensavo che fosse impossibile farlo. Ero in preda al terrore, ero incazzatissimo, mi sentivo così impotente perché ero legato come un salame, sentivo tutte queste parole nel buio più totale, non potevo neanche rispondergli, insultarlo, né tanto meno implorarlo di lasciarmi andare, perché non aveva nessun diritto di farmi tutto questo. E poi non capivo ancóra cosa cazzo potesse essere una fattoria di schiavi, e ora mi annunciava pure, come se niente fosse, che sarei diventato il suo cavallino. Mentre mi ponevo tutte queste domande nella mia testa, all’improvviso udii un rumore d’aria che si spostava, immediatamente seguito da un dolore fortissimo e pungente sul culo. Quel bastardo e figlio di puttana mi aveva dato un colpo di frusta!
- Ti ho già detto più volte di rilassarti, Federico - continuò l’uomo, del tutto tranquillo - E ti ho spiegato che non puoi lottare contro il tuo destino, non puoi rifiutare la vita che ho scelto per te. Questo colpo di frusta è solo un piccolissimo assaggio del dolore che proverai nel corso del tuo addestramento, il dolore ti aiuterà a capire la tua posizione e ad accettarla poco a poco. Più ti impunterai, più avrai male, ma più collaborerai e ti sottometterai, più sarai coccolato e gratificato. Per ora il tuo padrone ti sta solo spiegando la tua nuova vita, allora il meglio che puoi fare per non avere molto male già da questo momento è stare zitto, inspirare ed espirare profondamente, rilassarti e abituarti a questa nuova realtà. Hai capito?
Sentii la sua mano accarezzarmi di nuovo il volto, e spontaneamente mi mossi per evitarla, e con grandissimo orrore sentii nuovamente quel rumore d’aria mossa dalla frusta, ma stavolta il colpo non venne.
- Visto? Sono un bravo padrone, ti dò la possibilità di capire le cose poco a poco, ma anche tu devi collaborare - mi spiegò prima di accarezzarmi il culo, che ancóra doleva a causa della frustata precedente.
Non so come ma riuscii finalmente a governare il mio corpo, a calmarmi, a dirmi di obbedire, forse quel dolore era proprio servito a dimostrarmi che quel bastardo faceva sul serio, che le sue non erano solo parole buttate al vento, e che forse, collaborando come diceva lui, sarei riuscito prima o poi a fargli sentire ragione e a levarmi da quella brutta situazione.
- Dunque, come stavo dicendo, tu sarai il mio primo pony, il primo schiavetto che addestrerò per trasformarlo in un bell’esemplare di cavallino umano. Quello che voglio non è avere uno schiavo che cammina gattonando e che potrò montare sul dorso, l’idea non mi eccita e comunque la schiena dell’essere umano non è robusta come quella di un vero equino, rischierei di lederti la spina dorsale, e farti del male è l’ultima cosa che voglio, sei un così bel ragazzo, sarebbe un peccato danneggiarti. Tuttavia, ho previsto per te un training approfondito nel quale imparerai a camminare e a correre con le stesse eleganza e rapidità di un cavallo.
Questa volta lo stronzo mi calmò con tre frustate, tutte sul culo, che mi fecero un male cane, e anche questa volta mi convinse a rimanere fermo nonostante le oscenità che stava profferendo.
- Ho già visto su Internet dei bei ragazzi come te atteggiarsi come dei pony per le loro mistress, però questa fantasia purtroppo è ancóra poco conosciuta e c’è pochissimo materiale pornografico da consultare. Però quei pochi pony boy di cui ho visto video e foto in rete hanno suscitato in me un grandissimo desiderio, il desiderio di possederne uno o due nella mia fattoria, per avere il piacere di vederli passeggiare tranquillamente nei miei campi e anche per educarli per le corse o per le mostre. Ho grandi progetti per te, Federico, per cui dobbiamo iniziare sùbito il tuo addestramento. E la prima tappa è proprio quella preannunciata, quella delle punizioni corporali, il cui scopo è quello di abituarti all’idea che ormai non sei più padrone della tua vita, delle tue scelte, del tuo destino. Oramai sei il mio schiavo, o meglio il mio animale, e comunque sia sei di mia proprietà.
Avevo così tanta voglia di gridare, di liberarmi, di scappare via, ma non senza aver prima messo le mani addosso a quel grandissimo figlio di puttana. Si illudeva così ingenuamente che sarebbe bastata qualche frustata sulle mie chiappe per fare di me il suo cavallino, non sapeva che si sarebbe presto reso conto di quanto fosse solo un idiota senza cervello.

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