I sogni della vedova

Scritto da , il 2021-02-24, genere incesti

Jen era una cinquantenne vedova di colore, abitava in Virginia in una modesta casa ereditata dal marito. Ai tempi del racconto l’uomo, che era un bianco di medio reddito, era morto da 2 anni, stroncato da un infarto. Jen aveva un figlio di 20 anni dal precedente matrimonio con un uomo di colore da cui aveva divorziato perché violento.
Il figlio Art viveva con lei e non aveva né amici né fidanzate. Non era brutto ma aveva un fisico gracile e una totale dipendenza dal rapporto con la madre.
Non potevano vivere senza l’altro. Un rapporto che era stato definito morboso.

Jen non si era mai riaccompagnata perché Art era molto geloso e le impediva di conoscere uomini, da un po’ lei si era rassegnata pur di non turbare Art. Quel ragazzo aveva già sofferto troppo per l’abbandono.

Questa storia cominciò quando la vedova Jen cominciò a fare lo stesso incubo ogni notte o quasi. Un incubo oltraggioso e vergognoso di cui non osava parlare a nessuno ma che la lasciava al mattino spossata e turbata nel profondo.
Il sogno si ripresentava allo stesso modo, ma con qualche diversità ogni volta. Come se ci fosse una sorta di progresso.
Le prime volte sognava di essere a letto al buio e improvvisamente vedeva sulla soglia un misterioso uomo, completamente nudo, non riusciva a vederne il volto ma in compenso riusciva chiaramente a vedere la mostruosa proboscide di cui era dotato. Era un cazzo nero, grosso, che pendeva molle lungo la gamba, arrivando a lambire le ginocchia dell’uomo. Il tizio stava sulla soglia dondolandosi e mostrando a Jen la sua mostruosa dotazione.
Dopo di ché si avvicinava al letto. Jen scopriva di essere spaventata ma al tempo stesso eccitata. Indossava una vestaglia bianca aderente che ne accentuava le curve.
Jen era la classica donna di colore in carne, con grandi seni, grandi natiche e coscie polpose.
Con l’età era divenuta più opulenta ma miracolosamente le curve accentuandosi erano divenute ancora più eccitanti.

Mentre quell’uomo misterioso si avvicinava, si accorgeva che la vestaglia le si era sollevata, lasciando scoperte le grosse cosce carnose e il suo pube grassoccio.
Non indossava mutandine perché le davano fastidio a letto.
L’uomo non aveva volto, o meglio restava sempre nell’ombra mentre la sua oscena dotazione era sempre ben in vista e mentre si avvicinava si ergeva e gonfiava diventando un grosso bastone.
L’uomo saliva nel letto a quattro zampe con il grosso palo che strusciava contro le lenzuola sporcandole di smegma che abbondante fluiva dal glande.
Jen era terrorizzata ma anche molto eccitata perché da tempo non aveva amplessi e negli anni con suo marito Edward non aveva mai goduto un granché. Edward aveva una normale dotazione, da uomo bianco diciamo. E la scopava solo il sabato sera. Non durava molto e si addormentava subito. Ma lei non si era mai lamentata perché era un uomo buono che l’aveva protetta dal primo marito. Ogni tanto ci ripensava a Jim, era un bruto violento ma a letto era uno stallone favoloso. L’uomo nel sogno gli ricordava il cazzo enorme del primo marito, anche se l’uomo nel sogno ce l’aveva ancora più grosso. Anche quando faceva l’amore con Edward a volte ripensava al cazzo di Jim che la faceva impazzire per ore e si bagnava molto. Si sentiva in colpa con Edward, così cercava di non pensarci.

L’uomo nel sogno si avvicinava minaccioso alla sua fica con quel palo assurdo che ora era anche duro. Lo puntava con due mani contro la sua fica e spingeva. Nei primi sogni lei si opponeva e alla fine l’uomo se ne andava senza prenderla.
Lei si svegliava bagnatissima, sentendosi sporca.
Le notti successive il sogno proseguì ma a quel punto l’uomo non si fermava e la violentava, penetrandola fino in fondo con quella trave di carne. Jen sentiva tutto, le prime volte sentì dolore perché non aveva mai provato nulla di simile, dolore che diveniva piacere incandescente col passare dei minuti, più quel cazzo entrava dentro di lei allargandola e più si bagnava e godeva. Finché non si liberava della vestaglia e non offriva i suoi grandi seni alla bocca avida dell’uomo. Sentiva solo i suoi denti, la sua bocca e la sua lingua avida dei suoi grandi capezzoli duri ma non vedeva il resto del volto. Accecata dal piacere stringeva le cosce finché non esplodeva in un orgasmo liberatorio, anche l’uomo eiaculava dentro di lei. E la sborra era proporzionata alle dimensioni.
Si svegliava al mattino confusa ma soddisfatta con un lago di sperma che colava dalla sua vagina tumefatta.

L’incubo la spaventava per la sua crudezza e per il realismo. Non riusciva a capire come potesse essere così reale tanto da risvegliarsi con la fica piena di sperma.
Da dove veniva quel seme?
Doveva sapere.


Così contattò una sua vecchia amica psicologa. Gliel’aveva presentata Edward, si chiamava Teresa ed era una donna bianca molto in carne come lei e piacente. Erano subito diventate buone amiche. A lei Jen aveva sempre raccontato tutto così entrò nel suo studio più per confidarsi con un’amica che con una psicoterapeuta.
Teresa ascoltò con attenzione il racconto del sogno.
Poi parlò.
-Da quel che comprendo del tuo sogno c’è qualcosa che ti spaventa in quell’uomo o cosa rappresenta, per questo non vedi il suo volto, il tuo inconscio lo nasconde al tuo subconscio. Deve essere un uomo per cui provi una forte attrazione ma al tempo stesso disgusto.
-Ma chi può essere? Non frequento nessuno, a parte il postino che però è un bianco e non mi attrae per nulla, l’unico uomo che vedo e con cui parlo è il macellaio ma è un uomo anziano, francamente non ne sono attratta.
-Qualcuno nel tuo passato. Tempo fa mi parlasti di quella vergogna che provavi quando a volte ripensavi al tuo ex. Mi dicesti che ci pensavi anche quando stavi con Edward. Se non ricordo male era molto violento ma riusciva a soddisfarti a letto. Era anche molto dotato, se non sbaglio.
-Sì ti ho parlato di Jim ma non credo sia lui. Intanto Jim era fisicamente molto più robusto dell’uomo del sogno e poi sì, era molto dotato, sicuramente molto più di Edward ma non dotato come l’uomo del sogno. E poi perché non dovrei vederne il volto?
-Sì, era un’ipotesi. Beh l’unico uomo che frequenti è tuo figlio. Che ne pensi? Avete un rapporto molto intimo, in passato ti parlai di possibilità di incesto emotivo, se non ricordo male.
-Oh Teresa ma cosa dici? E’ vero che siamo molto legati e che lui non ha nessuna ragazza ma credo che si sia legato a me per via dell’abbandono di suo padre e poi per la morte di Edward a cui era molto legato, come sai.
-Sì certo, però ha 20 anni ormai, dovrebbe fare la sua vita, invece non frequenta ragazze, non ti pare insolito? E’ sempre molto geloso?
-Non più ma è perché non esco con nessuno.
-Hai visto nudo tuo figlio di recente? O l’hai sorpreso mentre si tocca?
-No ma che dici, non lo vedo nudo da quando ha 10 anni, lui si vergogna.
-Capisco…
-Allora che ne pensi?
-Non so, è curiosa la presenza di sperma. Ma lo è davvero? Come fai a essere sicura che sia sperma?
-L’ho assaggiato Teresa, sai che mi piace come piace a te.
-Ahahhaha siamo due sporcaccione Jen. Ha un buon sapore?
-Sì ammetto che è sperma di prima qualità, ahhahah.
-Portamene un campione, lo farò analizzare da un’amica biologa.


Così la notte seguente Jen si munì di un barattolo e al mattino, dopo un amplesso onirico particolarmente intenso, prelevò un bel di sperma dalla sua fica pulsante. Un po’ se lo mise in bocca mentre si massaggiava la fica e le tettone.

Lo portò a Teresa che lo osservò affascinata.
-Sembra davvero sperma. Posso assaggiarlo?
Senza attendere la risposta Teresa ficcò un dito nel barattolo e poi voluttuosamente lo ciucciò.
-Mmmm sperma di prima qualità, molto buono.
Jen vide i capezzoli di Teresa tendere la sua camicetta. Teresa aveva tette ancora più grosse delle sue.
-Allora lo farai analizzare?
-Sì ti chiamerò per i risultati. Intanto ti vorrei chiedere di portarmi qualcosa di Art per determinare il suo dna.
-Art? Per quale motivo?
-Uno scrupolo.
-Non penserai che l’uomo del sogno sia mio figlio?
-Non lo so, ma lo sospetto e ho anche un altro sospetto. Preleva un campione di dna da tuo figlio e poi ne riparliamo.
-Che cosa devo prelevare?
-Basta un po’ di saliva, portami un bicchiere che ha usato.

Jen tornò con il bicchiere. Teresa aveva tra le mani un foglio con i risultati dell’analisi.
-E’ sperma non c’è dubbio. Vero sperma.
-Come te lo spieghi?
-Ci sono due ipotesi. La prima assumendo che tu stia davvero sognando quell’uomo è che tu stessa produci quello sperma. A volte può succedere, la mente umana e il corpo a essa connessa producono meraviglie.
-L’altra ipotesi?
-Che non sia un sogno, che questi amplessi siano reali.
-Vuoi dire che qualcuno nottetempo si introduce nella mia stanza per violentarmi?
-Qualcuno che magari è già in casa.
-Mio figlio? tu devi essere pazza, è impossibile.
-Ti parlavo di un sospetto.
-Sì, non capivo a cosa ti riferivi.
-Potresti essere incinta, è sperma vero e a quanto pare molto attivo, in grado di fecondare.
-Oh ma è impossibile Teresa, io ho 50 anni come potrei avere figli?
-Fai un test di gravidanza per scrupolo e osserva come si comporta tuo figlio durante il giorno.

Jen fece attenzione a come si comportava Art durante il giorno. Non notò nulla di insolito. Dopo il lavoro trascorreva tempo nella sua stanza leggendo libri o navigando su internet. Entrava di rado in camera sua perché Art era molto ordinato e ci teneva a tenere pulita la sua stanza. Spesso aiutava Jen per le pulizie della casa oltre che eseguire lavori di manutenzione. Era davvero un bravo ragazzo ed era molto pudico. A volte si ricordava che era entrato per sbaglio in bagno mentre lei era nuda dopo la doccia e aveva subito chiuso la porta rimproverandola per non averla chiusa a chiave.
Altre volte lei era entrata mentre lui era sotto la doccia. E lui le aveva intimato di uscire.
Non c’erano segni evidenti che lui avesse il minimo interesse sessuale nei suoi confronti.
Le venne la curiosità di guardare nel suo computer quando era al lavoro ma era protetto da una password così dovette rinunciare.
Fece il test di gravidanza. Era sola in casa. Guardò il test che le annunciava di essere incinta senze essere troppo sorpresa. Teresa le aveva detto che quello sperma era fertile. Ma com’era possibile?
Sconvolta tornò da Teresa con il test.
-Oddio come faccio? Di chi può mai essere questo figlio? Di un uomo che esiste solo nei miei sogni?
Teresa scosse la testa.
-Non esiste solo nei tuoi sogni, Jen. Ho confrontato il dna di tuo figlio con quello dello sperma. Jen, tuo figlio è il padre del bambino che porti in grembo. Non sono sogni, tuo figlio entra in camera tua di notte e ti violenta. E il tuo subconscio si rifiuta di accettarlo, per questo credi sia un sogno e non riesci a vedere il volto.
Sono elaborazioni del tuo inconscio post coito.
-Non è possibile Teresa, io non potrei mai cedere a una simile perversione.
-Forse mette qualche droga in quello che bevi.
-Cosa?
-Mi hai detto che spesso cucina lui, vero?
-Sì non sempre.
-Beh fai caso se quando fai quei sogni la sera prima ha cucinato lui.
-Non saprei. Ci devo fare caso. Ma come devo comportarmi?
-Prova a mettere una camera e registra tutto.
-D’accordo.
Così Jen quando Art uscì per andare al lavoro sistemò una camera nascosta sopra il suo letto.

La sera chiesa ad Art se poteva cucinare qualche manicaretto. Art disse che lo faceva molto volentieri. Le parve che sorridesse in modo malizioso.
Cercò di stare sveglia per un po’ ma alla fine cadde addormentata, qualcosa nel cibo, tutte le sere si addormentava di colpo, poi riaprì gli occhi ma era tutto annebbiato come in un sogno vide comparire sulla porta quell’uomo dal cazzo di cavallo, era minaccioso ma la sua fica grondava già al pensiero di riceverlo, l’uomo la scopò mettendosi le sue gambe sulle spalle, toccò profondità inaudite e la riempì di sperma. Ebbe 3 violenti orgasmi, il più intenso quando sentì il potente getto di sperma che le colmava l’utero.
Al mattino dopo essersi ripulita e rinfrescata controllò la camera e prelevò la piccola scheda di memoria. L’avrebbe portata nel pomeriggio da Teresa.
A colazione Art si comportò come al solito, Jen fece finta di nulla e lo salutò.

Teresa inserì la schedina di memoria nel pc portatile. Erano sedute vicine. Teresa guardò Jen e le chiese se era pronta a vedere.
-Andiamo, devo sapere.
Il filmato inquadrava buona parte del letto, si vedeva Jen che dormiva e una porzione di porta. Per un po’ non accadde nulla, Teresa mandò avanti veloce finché non arrivò la parte interessante.
La porta si aprì piano, e sulla soglia apparve il misterioso uomo dell’incubo. Era magro e nudo con la proboscide che minacciosa ondeggiava tra le gambe. Jen emise un gemito strozzato quando vide il volto di suo figlio Art profilarsi chiaramente. Lo vide salire sul letto con l’enorme attrezzo che cominciava a rizzarsi.
E con stupore vide se stessa, la madre di quel ragazzo, invitarlo in modo osceno a prenderla, spalancando le enormi cosce e il sesso che luccicava di umori. e gli offriva le enormi mammelle. Vide inorridita e insieme eccitata il suo bambino puntare quel terribile, osceno e stupendo attrezzo verso il suo sesso, aperto e disponibile come un fiore. E quando il vigoroso membro penetrò dentro vide se stessa chiudere gli occhi rapita dal piacere e dal perverso amplesso. Art cominciò a menare gran colpi inoltrandosi con quell’arnese fino in fondo, facendo gemere Jen.
Teresa alzò il volume del filmato e nello studio si levarono alti i gemiti di godimento di Jen e il rumore che il palo di carne di Art produce stantuffando nella fica di sua madre.
Nella foga Art mise le gambe sopra le spalle e affondò tutto dentro mentre la sua bocca famelica si avventò sulle tette enormi di Jen.
Il video produsse effetti conturbanti su Jen e Teresa, entrambe guardavano con gli occhi incollati allo schermo, il respiro corto dall’eccitazione, entrambe rosse in volto e sentivano di essere bagnatissime. Teresa quasi sovrappensiero si accarezzava la coscia polposa che spuntava dalla minigonna. Aveva voglia di ficcarsi una mano dentro le mutandine e masturbarsi. Jen si accarezzava il pube attraverso i pantaloni.
Jen nel video implorò Art di andare più a fondo, di fotterla bene, e lo fece denunciando chiaramente di sapere che era suo figlio. Lo invitò a scopare bene la sua mammina e di ingravidarla con quella proboscide.
Le due donne turbate sentirono Art che annunciava di essere in procinto di allagare la fica di mamma con la sua sborra abbondante. Jen per nulla contrariata strinse ancora più le cosce attorno alla schiena del figlio e lo incitò a montarla e a riempirla di sperma. Così ora in primo piano c’erano solo le grosse palle di Art che sbattevano contro il culo enorme di Jen. Finché entrambi esplodevano in un urlo liberatorio.
Art esplose nella fica di Jen un fiume di sperma che colò dall’utero inzuppando le lenzuola. Poi si ritirò, il respiro affannato, il cazzo enorme che cominciava a sgonfiarsi.

Jen si addormentò spossata, la fica rossa pulsante di sborra.

Il video finì.
Jen scoppiò a piangere.
-Non so che cosa mi ha preso Teresa, è orribile quello che faccio. Sono una madre incestuosa, un mostro.
-Beh è chiaro che sei preda di qualche sostanza. Non sei pienamente consapevole.
-Ma so che è Art che mi violenta. Lo so e non lo caccio via, anzi lo accolgo. E’ terribile.
-Non sembra nemmeno una violenza in realtà. Sembra che tu lo aspetti per un normale amplesso tra coniugi, ma in realtà siete entrambi consapevoli dell’incesto, ed è ciò che lo rende così eccitante.
Probabilmente le prime volte ti ha davvero violentato e tu hai rifiutato di ammettere che tuo figlio potesse fare un atto così vergognoso. Poi hai cominciato ad assecondarlo e ci hai preso gusto e allora la censura del volto è diventata ancora più pressante.
-Che cosa posso fare?
-Devi parlare con Art, devi ordinargli di non mettere più
Droga nel tuo cibo e devi dirgli che sei incinta di lui e che dovete chiudere questa storia.
-Hai ragione Teresa, lo farò stasera stessa.


Jen preparò la cena preferita di Art: pollo fritto.
Cenarono come al solito guardando un programma televisivo. Alla fine Jen sparecchiò e mise in tavola una torta di mele.
Ne tagliò una fetta per Art e poi si sedette a fissarlo mentre mangiava. Non poteva credere che quel superbo amante che la scopava nei sogni fosse suo figlio. Era vergognoso ma era che segretamente eccitante e per questo si odiava e si sentiva in colpa.
Art divorò la torta.
-Che c’è ma’? Sei strana stasera.
-Dobbiamo parlare Art.
-Bene, di cosa dobbiamo parlare?
Art era serio, sembrava davvero cadere dalle nuvole.
-Dobbiamo parlare di quel che accade di notte.
-Non so di cosa parli, forse dovresti essere più chiara.
Jen sospirò.
-Sai bene di cosa parlo, quel che succede nella mia camera da letto tra me e te, non è sano Art e deve finire.
Art arrossì e sulle prime cercò di negare.
-Non negare Art, ho messo una camera nascosta e ho filmato il nostro atto di questa notte. E’ in questa scheda.
Gli porse la piccola scheda di memoria.
Art rimase in silenzio, sembrava turbato e non riusciva a guardare negli occhi Jen.
-Art possiamo chiuderla qui, fare finta che non sia mai accaduto ma dobbiamo parlarne e mettere fine a tutto. So che metti qualcosa nel cibo. Una droga che mi confonde e mi fa credere che sia tutto un sogno. Non lo fare mai più.
-Va bene ma’, mi spiace, non lo farò più. Cominciò a piangere silenziosamente. Jen si avvicinò e gli prese la testa appoggiandola al suo petto.
-Non piangere Art, io ti capisco, è stata dura con tuo padre e poi se n’è andato anche Edward. Hai pensato di prendere il loro posto perché volevi occuparti di me e rendermi felice.
-Sì mamma io l’ho fatto perché ti amo, ti chiedo scusa, non succederà più.
-Dimenticheremo tutto, figlio mio. Ora sfogati.
Il volto di Art era premuto contro i suoi seni, sentiva le sue lacrime scendere nell’incavo della sua maglietta. La guancia destra di Art strusciava contro il suo capezzolo.
Restarono abbracciati in silenzio per un po’. Poi Jen sentì le mani di Art che cingevano innocentemente i suoi fianchi scendere pian piano. Quella leggera pressione divenne una carezza. Una mano di Art scese al deretano di Jen, lo cinse, lo palpò. L’altra mano era scivolata su una coscia e ora si spingeva sotto la gonna. Jen se ne accorse e cominciò ad ansimare. Sentiva il calore dell’abbraccio del figlio divenire sempre meno innocente. Art si girò così la sua bocca si trovò tra i due seni.
Senza pensarci, rapita dal momento, Jen lo allontanò e senza dire niente tirò giù la maglietta facendo uscire uno dei grandi seni.
Senza aspettare inviti Art si gettò famelico su quella tetta enorme succhiando e leccando.
Jen però tornò in sé.
-no, fermati, non dobbiamo farlo mai più.
Lo allontanò e si sistemò la maglietta. Art furioso la prese e la voltò, la fece appoggiare con le mani sul tavolo e la costrinse a stare giù con la testa mentre si sbottonava frenetico i pantaloni. Alzò la gonna di sua madre e le strappò le mutandine. Poi calò i pantaloni e fece scivolare fuori il suo mostro di carne, già duro. Sputò sul culo di Jen e poi deciso la penetrò facendola urlare. Jen provò a divincolarsi ma Art a dispetto del fisico magro era forte e tenace. La teneva ferma con le mani mentre la pompava da dietro con quel cazzo da cavallo. Jen perse la forza di reagire e cominciò a godersi quel palo di carne che la riempiva. Cominciò a mugolare e a rispondere ai colpi di Art inarcando la schiena. Art schiaffeggiò le grosse natiche della madre mentre spingeva il suo cazzo in profondità. Ogni colpo strappava un urletto di piacere a sua madre. Ebbe un primo orgasmo. Art se ne accorse perché sentì le contrazioni attorno al suo cazzo. Spinse ancora più forte aprendola in due.
Ancora un paio di colpi e poi finalmente eruttò dentro di lei. Ritirò la bestia dal fradicio anfratto di sua madre e si ricompose. Jen restò ancora piegata con lo sperma che le colava dalla fica, poi si rivestì e fuggì in bagno.

La sera non si guardarono nemmeno in faccia, mangiarono in silenzio. Il giorno dopo Jen disse a Teresa che avrebbe abortito.
I giorni passarono. Art non venne più a trovarlo la notte. Tutto sembrava normale. Art però sembrava triste, depresso. E Jen era giù di morale. Un po’ si sentiva in colpa un po’ non riusciva nemmeno a confessarlo a se stessa, le mancavano quegli amplessi sfrenati col figlio, le mancava quel palo enorme.
A volte ci pensava sotto la doccia e si toccava, piena di sensi di colpa raggiungeva l’orgasmo pensando al palo di Art che la stantuffava.
I giorni passavano, Art era sempre più depresso, mangiava poco, non usciva mai.
Così una sera dopo cena Jen entrò nella sua stanza. Senza dire nulla si spogliò, restando completamente nuda.
-Che cosa fai?
Jen gli fece cenno di stare zitto. Abbassò le luci e si inginocchiò tra i piedi di Art. Gli sfilò i calzoni. Art non indossava mutande perché gli stringevano troppo. Il suo pitone giaceva inerme in mezzo alle gambe. Anche mollo faceva paura.
-Rilassati tesoro.
Si inginocchiò e cominciò a lavorarsi il cazzo del figlio, leccando e succhiando. Ammirando finalmente da vicino quel membro sublime. Art ammirava le grosse tette di sua madre che talvolta si chiudevano attorno al suo uccello, così morbide e lucide. E poi le grosse natiche della madre che si sollevavano mentre la bocca della donna si lavorava il suo cazzo.
Quando fu duro e svettante Jen avanzò e si impalò sopra. Da quella posizione Art era avvantaggiato, riusciva a succhiare le sue tettone e con le mani a palpare quel grosso culo. Scoparono un bel po’ in quella posizione gemendo. Al culmine di piacere Jen ficcò la lingua nella bocca del figlio che rispose con veemenza. Sborrò dentro di lei mentre lei raggiungeva un secondo orgasmo. Lo sfilò ancora duro.
Chiese alla madre di sdraiarsi sulla schiena. La prese così come nelle notti in cui credeva di sognare. La chiavò a lungo, toccandola in profondità, aprendola, riempiendola. I gemiti di piacere di Jen si alzarono nella notte. Li sentirono tutti. Scoparono fino al mattino finché non si addormentarono spossati l’uno nelle braccia dell’altra.

Passò qualche mese. Teresa vide Jen a un supermercato, aveva la pancia pronunciata. Aveva deciso di tenere il bambino o forse era di nuovo incinta. Pensò a Jen e suo figlio ed ebbe voglia di masturbarsi ma si frenò. Anche quella sera come tutte le sere si sarebbe masturbata guardando il video di Jen scopata da quello stallone di suo figlio.


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