✝️ Satanas Luciferi Esxcelsi!✝️

Scritto da , il 2021-05-27, genere pulp

⚠️Disclaimer: Il brano seguente è sconsigliato ai ferventi credenti, in quanto potrebbe urtare la loro sensibilità religiosa.
In questo caso, invitiamo i gentili lettori a non proseguire oltre nella lettura della parte II.⚠️





-Bentornata.

La voce dolce e ospitale di Padre Raphael accolse la giovane novizia nel confessionale, smussando i suoni scricchiolanti del legno che si piegava sotto le ginocchia della penitente.

-Mi avete fatta chiamare.
La voce di Camelia, che era priva di qualunque intonazione, echeggiando vacua all’interno dell’abitacolo in penombra pareva sottolineare di trovarsi lì non di propria sponte.

-È passata più di una settimana dall’ultima confessione. Non è da voi.
-Non ho più peccato, Padre.

Un lungo silenzio si sollevò tra i due, occupando con la propria pesantezza gli interstizi della graticola che li separava e confondeva i contorni dei loro volti: abbassato con lo sguardo rivolto verso il pavimento quello della giovane, diretto verso di lei quello dell’uomo, ricolmo di dolce severità.

-Dicendo questo, lo avete appena fatto.
La sua voce rivelava la piega di un sorriso compassionevole. - Questa è superbia, figliola. Ricordatevi sempre che in ogni cosa, soprattutto in quelle in cui eccellete, dovete essere “ultima di tutte”. La vanità è il lasciapassare per l’Inferno.

Poté notare il movimento della nuca della novizia esprimersi con un cenno fulmineo di sorpresa e successivamente di conferma, prima di cominciare a spiegarsi. -Chiedo perdono Padre, intendevo dire che non ho più avuto pensieri impuri su Nostro Signore. Seppure abbia trovato notevoli difficoltà nel recitare le mie preghiere, il vostro rosario mi ha aiutata a sopportare le blasfeme sevizie del mio torturatore…

Non specificò in quale modo il rosario la sostenesse: inserito nella stretta cavità tra le cosce, trattenuto fra le carni lacerate e doloranti che ormai si stavano cicatrizzando attorno il metallo; non lo aveva più estratto, angosciata dall’idea di privarsi dell’unica protezione in grado di difenderla dalla corruzione assoluta che la minacciava dietro ogni angolo solitario in cui poteva transitare.
Qualcosa dentro di lei le impediva di confessare quel particolare osceno, sapendo che anche omettere era una colpa, non potendo fare a meno di percepire quanto fosse empia la maniera con cui usufruiva di quell’unica difesa che le permetteva di aggrapparsi ad un briciolo di speranza di redenzione.

-Perdonatemi Padre, perché ho peccato…

Un sospiro soddisfatto riempì il torace del confessore, colmandolo di solennità, come se avesse appena riconquistato il suo posto nel mondo, davanti a lei, inerme e inginocchiata in attesa della Salvezza. Quella per cui lui poteva intercedere.

-Vi sento molto turbata. Siete ancora una novizia, vi è concesso tentennare. Dovete mettere alla prova la vostra devozione per essere sicura di aver ricevuto la Chiamata. Non negatevi queste indecisioni anzi, affrontatele e parlatene. Siete qui per questo. Apritevi a me come un fiore. Non temete.
Altrimenti il silenzio del dubbio rischia solo di alimentare la colpa e di assetare quel bocciolo ancora troppo tenero, figlia mia.

Padre Raphael non aveva l’età per essere il padre di Camelia ma spiritualmente sembrava vecchio di secoli anche nel modo di esprimersi.
Perfino la Badessa lo teneva in grande considerazione, concedendosi la sua compagnia durante le lente passeggiate nel chiostro, durante le quali discutevano di diversi argomenti riguardanti il piccolo monastero, sempre a bassa voce, sempre in maniera breve per non disturbare la contemplazione delle altre monache.

Il fugace silenzio tra le due figure nel confessionale venne interrotto dalla voce calda e profonda dell’uomo.

-Fino a cinquant’anni fa, tre volte la settimana, tutte le monache e le novizie si radunavano al Capitolo per confessarsi pubblicamente. Ognuna rivelava i propri peccati per accogliere la penitenza che la Madre Badessa comandava loro.

Un nuovo ed effimero silenzio dell’uomo permise che quell’immagine venisse metabolizzata dalla novizia.

-Tutto ciò creava un clima particolarmente teso soprattutto tra le novizie; dato che neppure le monache sono scevre dall’errore e dalla vanità del giudizio, quando le più sincere confessavano, si ritrovavano a essere tacitamente condannate dalle consorelle meno disposte alla comprensione e al perdono. E per questo in qualche modo emarginate. Siamo ben lontani dalla lapidazione biblica però certi sguardi pesano e feriscono come macigni in ogni luogo e in ogni tempo.

Il cuore di Camelia riprese a battere in maniera forsennata. Anche il respiro si fece più breve e rapido. L’idea di trovarsi circondata da tutte le sorelle, rivelando loro cosa era accaduto quella notte, la terrorizzava. Confidare tutto unicamente a Padre Raphael non sembrava poi un supplizio così pesante da sostenere, in confronto alla pubblica confessione. Sussultò.

-Ma per nostra fortuna tutto questo non avviene più, figliola. Gioite di ciò.

Il sospiro della novizia fece scricchiolare la ginocchiera imbottita dove poggiava le proprie membra livide. Padre Raphael riprese.


-A fronte di questo beneficio di cui voi potete godere, acquisito dal sacrificio e dallo spirito di Remissione di altre sorelle prima di voi, vi sollecito a parlarmi a cuore aperto. Dopotutto, se non sarete sincera, asseconderete solamente la voce perversa del Demonio che sta operando per allontanarvi dalla retta via.
Non preoccupatevi, il confessarvi non mi esenterà dall’assegnarvi una mortificazione appropriata per ricordarvi che nessuna penitenza inflitta per ottenere il perdono sarà mai perpetua quanto il fuoco dell’Inferno che brucerà la vostra anima in eterno se non vi redimerete.
Ricordate che subire il giudizio di Dio è il giusto castigo per la vostra superbia. Accoglietelo come un dono, dunque.

Camelia ebbe l’impressione che lui sapesse ogni cosa. Forse l’aveva vista, forse l’aveva udita. Forse qualche consorella aveva scoperto cosa era successo e glielo aveva riferito di nascosto. Si sentì mancare.

-Padre…
Mormorò, terrorizzata da quell’eventualità.
-Il mio peccato è abnorme. Temo che il mio amore verso Dio sia stato compromesso…

Le mani si giunsero sul volto, coprendole gli occhi.
Padre Raphael riprese a parlare, quieto come fino a quel momento era stato.

-Niente di ciò che può essere avvenuto può pregiudicare la vostra anima se siete pentita. Dio ama i peccatori. I figli suoi prediletti sono quelli smarriti che tornano a lui. Egli perdona ogni peccato se ciò che desideriamo davvero è la sua clemenza. Per questo ci prostriamo e ci umiliamo, per certificare quanto il nostro pentimento sia profondo e sentito gioendo della nostra penitenza.

La novizia non pronunciava parola, assorta dal panorama del perdono che la consolava, estasiandola.


-Voi, mia giovane ragazza, siete come un fiore, un fiore che necessita di venire annaffiato dall’acqua rinvigorente dell’umiliazione per rafforzare queste vostre tenere radici che rischiano di venire tranciate senza indugi già dal primo vizio offerto dal Maligno.
Non sarà così, non per voi. Affidatevi alle cure di Nostro Signore, senza tentennamenti. Egli vi condurrà esattamente dove desidera.

L’attimo di pace che Camelia credeva di aver ritrovato, si disperse al contatto con la realtà, dolorosamente rinvigorito dal dolore delle lacerazioni delle sue carni più delicate, facendola gemere di un dolore rassicurante che la cullava costantemente in quello stato opprimente di scoraggiamento.


-E se il Signore non mi volesse più?

Intuendo di poter essere fraintesa, con un anelito di coraggio decise che parlare chiaramente sarebbe stato meglio. In un certo senso si sentiva comunque denudata, come se il peccato le avesse lacerato le vesti rendendola incapace di portare una copertura sopra la propria pelle tremante anche se indossava due tonache. Nuda, proprio come l’artiglio aveva fatto nella cella quella notte, strappandole gli indumenti monacali senza pietà.

-Il Diavolo mi ha visitata e oltraggiata, privandomi dell’unica dote degna di tale nome; ora non ho più nulla di offrire… Nonostante ciò, non v’è notte che l’ Empio non continui a perseguitarmi, sussurrandomi nefandezze nelle orecchie, torturandomi nel sonno con immagini oscene e indescrivibili. Il mio corpo è diviso a metà, solo il vostro rosario mi trattiene dal cadere nell’Inferno più profondo… Ma una parte è già dannata...

I singhiozzi coprirono tutte le parole successive, rendendole incomprensibili.

-Sorella, vi fidate di me?

Per un brevissimo istante il pianto della ragazza si interruppe. -Certo, come del Signore Dio Nostro.

-Convincetevi. Dio vi perdonerà. Con il giusto castigo e sentimento di redenzione.

-Padre, quale penitenza riuscirà a mondare la mia anima da una colpa così estesa? Essa mi ha macchiata in maniera indelebile… Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono…

-Questa è di nuovo superbia, piccola mia.

Il tono confortante del Confessore, nonostante il fermo rimprovero, raggiunse in qualche modo il cuore di Camelia, tormentata da un groviglio di rovi che le faceva sanguinare l’anima. Il respiro si acquietò, il battito cardiaco rallentò tornando infine alla normalità. Un fervore estatico le inondò gli occhi, sollevati per cercare il volto del suo Salvatore, separato dai disegni dall’impronta orientale e confuso dalle ombre proiettate sul viso in penombra.
Riabbassò subito lo sguardo, scoprendosi emozionata.

-«Il Signore è lento all'ira e grande nell'amore, perdona la colpa e la ribellione, ma non lascia senza punizione».

Camelia annuì. Il suono gentile del frusciare delle vesti del saio, ovattava il silenzio dell’attesa. Il Confessore si stava sporgendo verso di lei.
Padre Raphael appoggiò la fronte al metallo, lasciando spassare dagli spifferi uno sguardo penetrante che richiamò l’attenzione della novizia.

-Sì, Padre.

Sollevò il viso, inchiodando il proprio sguardo verso quello dell’uomo.

La voce di lei emise un flebile sussurro smarrito. Il respiro dell’uomo divenne più pesante.
-Avete con voi il Santo Rosario?

Lei annuì, divaricando le cosce in maniera spontanea, rivelando il proprio movimento con il cigolio della ginocchiera.
L’uomo chiuse gli occhi, come se quella rivelazione superasse ogni sua immaginazione.
-È dentro di voi…

-Non oso deporlo, il Demonio ha abusato del mio corpo violandomi in maniera indegna. Il vostro dono riesce ad allontanarlo dalla mia promessa di Castità… Esso teme gli strumenti del Signore.
-Non avete ancora preso i voti temporanei, eppure già vi sentite così vicina a Dio… tanto da umiliare così le vostre carni…

Padre Raphael parlava con dei mormorii sommessi, fino a quando un affanno rauco gli graffiò la gola impedendogli di andare avanti.

-Ora comprendente l’entità della mia pena, Padre?
-Questa non è una pena, sorella. Queste prove sono come regali che dobbiamo accettare rallegrandoci di essere stati scelti per portare sulle nostre spalle fardelli tanto pesanti.

Camelia annuì.

-Ditemi cosa debbo fare per meritarmi l’assoluzione.

Padre Raphael non lesinò dettagli e spiegazioni.

-Umiliarvi, innanzitutto. La vostra superbia e vanità vi rendono oggetto facile del Maligno. La lussuria è ciò che vi impedisce di proteggervi. Ricordatevi che queste non sono torture ma occasioni che il Signore ci dona per saggiare la forza della nostra fede. Non soccomberete alle lusinghe del Demonio se pregherete Dio con forza. Pregate. Ringraziate di essere afflitta da una tale benedizione. Se la vostra anima sarà salda, quelle che voi chiamate pene diverranno doni di letizia.

Le mani di Camelia asciugarono le ultime lacrime di gioia, dolore e speranza.

Con la formula dell’assoluzione, Padre Raphael congedò la novizia che, con un rinnovato senso di fiducia nelle proprie preghiere, si diresse verso la cella per chiudersi in silenzio e penitenza, seguendo il digiuno consigliatole con gioia, pronta a portare la propria pena con dedizione totale.




✝️





Dopo la cena e alla fine dell’ora di preghiera, tutte le celle venivano chiuse per il riposo notturno. Sorella Caterina si avvicendò alla Novizia che per ultima spegneva i flebili lumi dei corridoi dei dormitori. Congedandola terminò lei quel lavoro, così da lasciare sprofondare tutta l’ala del Monastero e le sue ospiti, nel buio riposante e avvolgente della notte. Si trattenne, pensierosa, davanti la cella di Sorella Camelia. Non le piaceva il fatto che avesse deciso di non partecipare alla cena, era solo un modo per attirare l’attenzione su di sé, come il non voler cambiare il proprio nome con uno più appropriato. I fiori per lei rappresentavano la vanità e la seduzione e la Novizia che pregava sempre in preda a una sorta di estasi mistica le dava la sensazione di essere solo una piccola egocentrica viziata e segretamente viziosa.

Per quello non resistette alla tentazione di osservare l’interno della cella dallo spioncino, con la speranza di vedere la giovane in atteggiamento controverso per denunciarla alla Madre Priora. Il pensiero di vedere la novizia in punizione era un pensiero che sollazzava Sorella Caterina.
Forse troppo.


Nel silenzio del corridoio, vuoto a parte la sua figura, fece scivolare la piccola scure che schiuse la vista all’interno della spoglia cella, dove il giaciglio della suora era posizionato in maniera identica a qualsiasi altra cella del Monastero, davanti la porta, per controllare le attività della sua ospite.

Caterina sgranò gli occhi cerulei con incredulità.

Per un momento la visione di sé bambina che correva a piedi nudi su un prato coperto di fiori sbocciati evaporò con un profumo dolce e sensuale sino alle sue narici, stordendola, confondendo la visione all’interno della cella con quell’evocazione del passato.

Quell’intensa e zuccherata fragranza, così improvvisa, la catapultò all’epoca in cui giocare per i prati era la massima gioia possibile.

Venne scagliata al momento in cui smise di essere bambina, quando non erano solo i suoi piedi ad appoggiare nudi sull’erba.
Venne scossa dall’istante in cui il profumo di fiori si mescolò al calore del sole sulla sua pelle e il freddo dell’ombra che la investì subito dopo, facendole scoprire il piacere del proprio seno tra mani sapienti.

Poi sospiri, gemiti. Urla, ribrezzo. Fuga. Vergogna. Paura. Peccato. Penitenza. Silenzio.

Tutta la vita vissuta finora da Caterina si riversò davanti ai suoi occhi con la violenza dell’acqua di una cascata in caduta libera.

In quella stanza c’era profumo di fiori. In quella stanza c’era odore di peccato.

La mano tremante si abbassò sulla maniglia, spingendola verso il pavimento.
La porta di legno dall’aroma di resina si aprì, permettendo alla Sorella consacrata di torreggiare su quella in apprendistato.


Camelia era sul pavimento, distesa, coi capelli lunghi e sciolti sulle lastre di pietra coperte solo da una stuoia di lana grezza per isolare un po’ il freddo e l’umido. Il suo viso era stravolto come in preda a una visione superiore che le impediva di parlare e di muoversi. Immobile, con la tonaca sollevata fino sopra il ventre, le carni innocenti esposte in maniera sgraziata e oscena.


Dagli occhi lucenti rivoli salati colavano sul pavimento, superandole la delicata linea del naso, lambendole il viso come rugiada.
Suor Caterina si mosse, senza sapere perché lo fece.
Nell’introdursi nella stanza le sembrava di compiere ogni gesto osservandosi, distaccata dal proprio corpo.

Osservò sé medesima chiudere la cella di Camelia, serrare lo spioncino da lei poco prima dischiuso, avvicinarsi al pavimento dove l’estatica giovane alternava respiri rapidissimi a profondi e lenti movimenti del petto simili ad apnee. Appariva esanime, così pallida e languida. Eppure gli occhi, quelli si muovevano, seguendo i movimenti della consorella. In qualche modo era vigile, presente.

Caterina si inginocchiò accanto al fianco destro della ragazza, dove il volto di lei riversava. Allungò una mano, scostandole i capelli chiari e morbidi, troppo lunghi per essere anche solo una novizia.
Un moto di severità la indusse a stringerli in pugno e sollevare di conseguenza il capo della giovane che ora, obbligata, affossava il proprio sguardo verso quello dell’altra donna.
-Sei una svergognata. Te ne rendi conto?

Camelia non rispose, lasciando le palpebre cadere sulle proprie pupille dilatate. Piangeva. Sembrava parlare solo così. La bocca era dischiusa ma non pronunciava alcun suono.

-Nuda, sul pavimento, con le gambe spalancate…
Caterina seguì la linea morbida e piena dell’interno coscia della ragazza con i propri occhi, continuando fino al ginocchio che conduceva verso il picco da dove tuffare lo sguardo in direzione delle caviglie sottili e delicate. La pelle della ragazza era così chiara che era impossibile avesse visto anche solo un raggio di sole da quando era nata.
I piedi così aggraziati e pallidi non avevano mai camminato su alcun prato. Non conoscevano la morbidezza dell’erba e il solletico dei fiori, Caterina ne era certa.

Sollevò il viso da quella visione che la stava riempiendo di agitazione perversa. Cercò immediatamente l’immagine del crocifisso appuntato al muro sul letto… realizzando con sconcerto che la posizione di Camelia, scosciata e impudica, dirigeva la propria intima vergogna proprio verso il Gesù in croce.

-Blasfema! Pervertita!

Poté solo ripetere, lasciando i capelli di Camelia procurandole una contusione fortissima che causò un tonfo sordo nella cella. Ma la giovane non si lamentò.

Le mani più decise di Caterina si fiondarono sulle ginocchia della ragazza, per chiuderle e impedire che il Figlio di Dio posasse gli occhi su una tale oscenità.

-Sei corrotta e disgustosa, una cagna in calore che vuole solo farsi montare da Nostro Signore!

Trattenne il fiato, rendendosi conto di cosa stava dicendo, percorrendo la salita verso un’agitazione inaudita.

-Senti cosa mi fai dire, puttana sotto mentite spoglie!
Sei la troia del Demonio, che cerca di sedurre il Signore Dio!

Eppure nonostante le sue parole di condanne, il profumo di fiori si faceva più forte, confondendole i sensi e addolcendole l’animo. Quel profumo tanto intenso da impedirle di reagire lucidamente. Il profumo, il profumo… c’erano margherite… erano margherite… così dolci e delicate… calendula… Affondò il viso sul ventre di Camelia cercando l’origine di quel profumo stordente come se avesse appena immerso le narici in un mazzo di profumatissimi fiori appena raccolti.

-Dove nascondi tanta oscenità piccola puttana? Dove? Parlami!!!

Caterina spinta dalla mancata risposta di Camelia, con gesti spasmodici, sprofondò ancora con la punta del naso contro ventre della ragazza, spingendosi in quella carne inaspettatamente morbida e calda. Tremava. Il profumo dolce, sembrava miele e nettare, convincendola che forse era quello il profumo dell’Ambrosia. Paganesimo… il corpo stesso di quella ragazza grondava sacrilega seduzione. Era essa stessa un altare eretico. Scivolava sulla pelle eburnea non più solo col naso, riversando con la lingua un biascicare disgustato e smanioso, intenzionata a raccogliere quei saponi pagani e divini. Primordiali, dissoluti.

-Lo sento piccola troia... Lo sento. Io lo so cosa è questo odore. Lo so. Tu stai fottendo col Demonio. Tu ti stai macchiando di peccati talmente empi che mi impedisci addirittura di pronunciarli...

La voce di Caterina rassomigliava ad un singulto, preda di un’emozione tanto vivida da assottigliarle il respiro. Le dita vibravano mentre, anticipando la bocca, cercavano di riaprire le cosce chiuse un attimo prima. Sentiva il profumo dolcissimo dei fiori provenire da lì. Quel profumo che la irretiva e la trasportava di nuovo sul prato dove consumava i suoi amplessi d’amore. Gemeva a quei ricordi e l’odore di miele la ubriacava.

-Qui… È qui…

Seguiva la scia odorosa come un’ape impazzita e affamata. Era satura d’attesa, doveva in qualche modo essere di nuovo lì su quel prato, il suo prato. Ecco perché si sentiva così.

Lui l’attendeva poco distante. Le braccia grandi e forti si spalancavano sorrette da spalle ampie e accoglienti. Il sorriso riluceva come raggi di sole che attraversano fronde d’alberi in movimento contro il cielo. I capelli neri e scuri sapevano di ombra e muschio.
Lei correva. Aveva perso i sandali di pelle conciata. I piedi portavano i segni di costrizione dei lacci eppure li sentiva solleticati dai fili d’erba teneri che venivano piegati al suo passaggio.
La tunica scivolò via, dispersa. Che importanza aveva dove sarebbe finita?

I suoi capelli...i suoi capelli non c’erano… così rasata aveva deciso che non avrebbe mai più ceduto alle lusinghe della vanità che già una volta l’aveva indotta nel peccato.

Ma lui, lui non era il suo peccato. Lui era il senso di tutto. Glielo avevano portato via dopotutto, perché se fosse rimasto il frutto del suo grembo avrebbe maturato.

Correva, correva. Lo avrebbe raggiunto tra poco. Non ricordava più il sapore della sua pelle ma ricordava l’odore del sudore dopo che, finito di possederla con foga, la stringeva tra le braccia possenti. Doveva perdersi di nuovo lì, disperata, piccola, insignificante.

Si lanciò nell’unico luogo dove aveva mai davvero trovato pace, cercando con le proprie labbra la bocca che si piegava in un sorriso di benvenuto. Affilato, tagliente, accomodante.
Lo baciò. Prima dolce, emozionata. Poi lasciva, pretenziosa.
Quella bocca era la sua. Sentiva lo zucchero delle albicocche. Le mandorle. C’era il nettare dei fiori succhiati dal gambo.
Tutto quello era suo, il suo sapore, la sua delizia.
Doveva cercare la sua lingua, varcare le sue labbra, sprofondare nella sua bocca.


Camelia non poté nulla. Chiudendo gli occhi lasciò che Caterina compisse quell’oltraggio, singhiozzando muta dentro il proprio petto.

La bocca della sorella divorava e divaricava le labbra della sua carne, la lingua vi si infilava, distogliendola dal disperato tentativo di non trovare piacevole niente di tutto quello.
Il suo corpo non tollerava ciò che accadeva ma intimamente sapeva di rispondere al bacio di Caterina. Sentiva colare scivoloso il risultato di quei baci profondi e indecenti.

Continuava a ripetersi di accogliere quel supplizio, di ringraziare Dio per la tanta vergogna che provata. Gioiva per la propria disperata umiliazione, perché avrebbe superato quella prova.

Sentiva il cuore spostarsi lentamente dal petto al centro del proprio ventre, rimbombando come un tamburo da parata. Lo sentiva scivolare sempre più in basso, verso la congiunzione della bocca di Caterina e la sua intimità.
Non c’era scampo. Sentiva che il culmine sarebbe arrivato. Aveva già provato quella sensazione traboccante e sapeva che non avrebbe potuto evitarla.

Chiuse gli occhi, attendendo la sua ora. La lingua di Caterina ormai aveva operato oltraggio nelle profondità della sua carne, l’aveva sentita insinuarsi come il più viscido dei serpenti, insidioso ed empio.
Aveva sentito dolore. La carne cicatrizzata riprese a sanguinare.
Caterina stava sfilando il rosario coi denti.

Camelia attese.
Esplose.
Gemette in silenzio.

Caterina continuò, fino al termine della propria opera.
La notte cadde come di piombo sul Monastero. Tutto si spense, ogni respiro si assopì.

Il giorno dopo ritrovarono Suor Caterina svenuta nella sua cella. Solo l’attenta analisi di Padre Raphael stabilì che per un oscuro motivo, essa aveva infilato nelle narici e nella gola i grani di un rosario insanguinato, poi violentemente rigettati.

Vi fu sconcerto per una settimana.



✝️
-Bentornata.

La voce di padre Raphael era quieta, come sempre, immutata come poche cose terrene.

-È passata una settimana dall’ultima volta.
-Sono successe tante cose, padre.
-Solo la volontà del Signore. Solo quella.

Il silenzio sembrava una valanga di rocce impazzite che rimbombava nella testa sempre più provata della Novizia.

-Il rosario…
Tentò di dire Camelia.

-Lo so. Ve ne farò avere un altro.

Un sorriso affilato e soddisfatto si stampò sul volto dell'uomo, eclissandosi nell'ombra, rapido come era apparso.



✝️“Se danzi col diavolo, il diavolo non cambia. E' il diavolo che cambia te.”✝️








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