Domenica di Ferragosto

Scritto da , il 2021-08-15, genere feticismo

C'è un parco giochi oltre il ponte, ma non un ponte qualsiasi, è l'ultimo ponte, dove c'erano le porte della città una volta e la periferia comincia, all'estrema fine del viale dove andavo a scuola.
Il parco in se è uno spiazzo alberato e terriccioso tra la strada e il greto del torrente, con due altalene, un minuscolo scivolo, due cose molleggiate per bambini molto piccoli.
Sembra roba dimenticata li da qualcuno e abbandonata per sempre, a volte ci sono anche persone, ma di solito è vuoto.

Quando avevo sette otto anni, scoprire l'esistenza di quel parco era stato come conoscere una terra ignota, per me andarci era come viaggiare.
Perchè quando avevo otto anni la vita dei bambini era molto meno pericolosa di adesso e già potevamo uscire, attraversare strade e ponti, alla fine era lo stesso percorso per andare a scuola, solo che tiravo fino in fondo al viale, uscivo dalla volta degli alberi e attraversavo una strada in più.
Era come viaggiare comunque, ero sulla frontiera, tra le piante si vedeva il greto sassoso e materassi e coperte buttati sotto la campata del ponte, dove comincia anche oggi il territorio dei senzatetto, e il pericolo per un bambinetto.
Ma non mi passava per la mente che quel pericolo potesse estendersi anche al campo giochi, il campo giochi è terreno sacro, così mi sedevo sull'altalena e potevo passarci dei pomeriggi a volare.

Oggi ho viaggiato ancora, la necessità di fissare la vitamina D mi ha spinto fuori di casa un'ora prima di mezzogiorno, con le braghette corte verdi da pinocchio e i sandali. Per rendere il viaggio completo ho voluto prima recarmi al centro vero e proprio, la grande piazza, per arrivare da li all'ultimo ponte. C'era un negro all'entrata della piazza, suonava la Kora e cantava, un Jali quindi. Aveva il classico tappetino, con poche monetine dato il deserto che aveva attorno.
Io in tasca avevo solo un euro, il sole e la vitamina D sono per il momento gratuiti, non prevedevo di avere spese la domenica di ferragosto. Di più non potevo dargli, mi ha ringraziato, io mi vergognavo, per il gesto, buttare la moneta ai piedi è come buttare il pane a un animale, non si tratta così un artista. Ma aveva le mani occupate, come dovevo dargliela.

Ho viaggiato volutamente sempre sul lato assolato, camminato, senza maschera, neppure in tasca. Non si incontrava quasi nessuno, a volte qualche signore anziano, pallido nonostante il ferragosto e con la maschera a esorcizzare la paura, anche se attorno non c'era nessuno. Vedendomi passare senza avranno forse pensato che morirò prima di loro ? A questo dobbiamo arrivare ? La gara a chi muore prima ?

Intanto per la strada guardavo se ci fosse qualcosa di ancora aperto, si sa mai che stanotte si possa uscire a bere qualcosa con la friendzone, conosciuta anche come Profumiera.
Già qualche giorno fa le ho offerto la grigliata, e lo so, direte che non lo merita, ma quando il supermercato si prepara a chiudere e mi mette la confezione maxi di carne da grigliare a soli cinque euri, che faccio, lascio li? L'ho presa, ho preso anche due bottiglie di Asahi e la sera abbiamo fatto fuori tutto, anche la luganega cotta nell'aceto col finocchietto e la menta.

La notte era quasi fresca e si è portata la sedia sul balcone, con i piedi nudi appoggiati più in alto, sulla ringhiera.
Io anche ero a piedi nudi, secondo lei li ho più belli, più fini dice. E pensavo a ER, a quelli che ci scrivono sopra i racconti, cosa avrebbero dato per un attimo così.
E anche sabato sera, calato il sole ci siamo seduti su una panchina del piazzale a mangiare una fetta di melone. Io seduto sulla panchina, lei sullo schienale, per cui se mi giravo mi trovavo a parlare col suo piede, che sarebbe bastato allungare la lingua per toccarlo.
E aveva questo sandalo a ciabatta senza laccetto dietro, penzolante, e mi tornava in mente Samas, il suo racconto Dangling.

Sotto il sole ho attraversato il ponte, il parco giochi era ancora li come sempre, questa volta sono anche sceso nel greto, si anche le materassine scassate erano ancora li sotto l'arcata, sono tornato di sopra per non disturbare. E visto che non c'era nessuno mi sono seduto sull'altalena, che è stato come mettere il sedere su di una bistecchiera, anche perchè sotto non tengo biancheria.
Ho imparato che per guidare l'altalena bastano pochi movimenti delle gambe, il resto è immobile, sembra che faccia tutto da sola, ma posso dare l'ampiezza, la velocità, le deviazioni di lato, e come sempre ho avuto un momento di tempo sospeso, si potrebbe dire un presente assoluto in cui il futuro non esiste e di conseguenza niente ha importanza. Niente.
Bisogna anche dire che quando avevo otto anni non pesavo cento chili e la catena non scricchiolava in quella maniera preoccupante.

Mi sono fermato, per la paura che si rompesse, per la paura che qualcuno mi vedesse, altra vergogna per aver rinunciato così presto a quel momento di grazia, mi sono rimesso in viaggio verso casa. C'erano banchi di pesciolini nella poca acqua del torrente, anche un paio di più grossi, stranamente non si vedevano uccelli invece.

Sono di nuovo a casa, tutto quel che ho fatto e visto appartiene già al passato, ma ne voglio di più, voglio più luce, il sole batte direttamente sul balcone adesso. A braccia e gambe larghe, occhi chiusi, ignoro il sudore a goccioloni e conto fino a venti.

Per oggi posso tornare nell'ombra.

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